Quando hai capito che non ti bastava più leggere ed era venuto il tempo di mettere in scrittura le tue emozioni e le capacità che sentivi di avere?
Ho sempre raccontato storie. Ho iniziato da ragazzina per tenere buoni i miei fratelli più piccoli quando facevo loro da babysitter. Erano un pubblico molto esigente e prediligevano le storie dalle venature noir. Ho imparato a dosare i colpi di scena e a creare la suspance giocando con elementi della vita quotidiana. Poi un giorno qualcuno mi ha detto "sei brava a raccontare storie, perché non inizi a scriverle?" Il giorno seguente ho comprato un portatile di seconda mano, ho cominciato il primo romanzo e non ho più smesso di scrivere.
Oltre alla letteratura, ci sono altre forme d’arte che ti appassionano? Musica, cinema, pittura. Quali i tuoi nomi preferiti in questi campi?
Non solo musica, cinema e pittura mi appassionano, ma influenzano da sempre la mia scrittura. A volte i brani delle mie canzoni preferite entrano nella narrazione o danno il ritmo a una scena. Così come ricordo di aver scritto la scena di un romanzo guidata dalle emozioni che avevo provato visitando la mostra di Caravaggio, inseguendo le luci e le ombre nette delle sue pennellate. Ogni periodo della mia vita ha il suo film, la sua colonna sonora e visiva.
C’è un evento/fatto particolare della tua vita che ti ha fornito l’input per cominciare a scrivere il libro? Immagino saprai che Avati ebbe l’ispirazione iniziale per il suo capolavoro “La casa dalle finestre che ridono” da un episodio accaduto realmente durante la sua infanzia.
La storia è nata dal mio amore per la mia città d’adozione: Bologna. Qui, tra il 2004 e il 2006, durante gli scavi per l’Alta Velocità, è stata scoperta una necropoli romana considerata “anomala”: i corpi presentavano delle inquietanti mutilazioni post-mortem mai viste nei cimiteri di quel periodo storico. Da questa suggestione è nato il nucleo del romanzo, su cui si innesta il filone principale dell’indagine. Il serial killer, del resto, ha caratteristiche che lo accumunano ai più celebri serial killer della storia recente, pur non essendo ispirato a una figura in particolare.
“Per lui dipingere la morte è vivere”. Una delle frasi simbolo di quel film. Scrivere per te è vivere? Quanto rappresenta?
Scrivere per me è come respirare. Non posso farne a meno. È un'urgenza. La sera mi addormento pensando alle prossime scene che entreranno a far parte della narrazione e il mattino apro gli occhi e cerco tra i fili dei sogni l'ispirazione per proseguirle.
Sei circondata nella realtà da luoghi simili descritti a quelli del libro? Sei in qualche modo influenzata / ispirata da essi?
La Bassa emiliana non è solo un luogo per me, è uno stato d'animo. Così come la nebbia, che a volte diventa una condizione mentale ed emozionale, capace di nascondere o trasformare la realtà.
Durante la costruzione dei tuoi libri hai già deciso il loro finale o prendi in considerazione due epiloghi diversi?
Non decido mai il finale a priori. O i passaggi per arrivarci rischieranno di risultare meccanici. Se io non sono sorpresa, come potranno esserlo i lettori quando leggono?
Nel mondo di oggi sempre più frenetico e meno “umano” nei contatti, credo che fermarsi nella lettura di un libro sia una delle cose più belle ed emozionanti. Che ne pensi al proposito?
Sono totalmente d'accordo. Un buon libro è un mondo parallelo dove vivere e fermare il tempo, provare emozioni e crescere.
Hai già qualche idea, una bozza per un nuovo libro oppure “Aurora nel buio” ti ha “prosciugato” in questo senso?
Qualche settimana dopo aver terminato la stesura di Aurora nel buio ho sentito un vuoto dentro. Un vuoto a cui ho dato un nome: mancanza. Mancanza della voce dei personaggi, ma anche di Sparvara, il luogo non luogo dove è ambientata la vicenda. Così mi sono subito messa al lavoro su una nuova avventura con protagonista Aurora Scalviati. Uscirà il 7 marzo, la prima scena ambientata in uno dei luoghi più misteriosi e magici di Bologna, il cimitero monumentale della Certosa.
- MARCO CAVALLINI -