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IMAGO MORTIS
"Verrà la Morte e avrà il tuo nome"
Gennaio 2023
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Risponde Abibial (basso e voce)

È uscito qualche mese fa lo split CD coi francesi MORTIFERA. Parliamo dei vostri due brani. Il primo, “Donna Lombarda”, è potente e al tempo stesso melodico, ha un alone quasi maestoso, sovrano. Una sovranità nera. Concordi?

Concordo con te, è sicuramente una delle sensazioni che il brano si prefigge di evocare, in quanto in esso vi si narrano le intricate vicende regali della corte Longobarda. Il brano riprende una ballata popolare molto antica risalente tra il V e VI sec. d.C., e diffusa nel nord e centro della nostra penisola sino all’Occitania francese. La sua notorietà è dovuta quasi sicuramente al fatto che era entrata a pieno titolo nel repertorio dei trovatori e cantastorie medievali. Questa “murder ballad” narra le vicende ispirate a Rosmunda, figlia dello sconfitto re dei Gepidi, che venne presa in sposa dal re dei longobardi Alboino come trofeo di guerra. L’infelice regina, a seguito dell’affronto del marito di farle bere del vino da una coppa ricavata dal teschio di suo padre, decise di ucciderlo con l’aiuto del suo amante Elmichi. Nonostante la sua morte, il tentativo degli amanti di usurparne il trono fallì, cosicché furono costretti a riparare a Ravenna. Qui si sposarono, ma la donna si dimostrò ancora una volta infedele, decidendo di uccidere il nuovo marito avvelenandone il vino, ma Elmichi bevendolo si accorse della congiura e costrinse Rosmunda a berne anch’essa sotto la minaccia della spada. I due si accasciarono morenti, uccisi dalla medesima pozione. Nel testo popolare della ballata l’intrigo viene svelato dal figlio neonato della coppia, che magicamente comincia a parlare. Per quanto ci concerne abbiamo riarrangiato una versione occitana arricchendola con delle nuove parti composte da noi.

Il secondo è una nuova versione di “Mors Triumphalis”. Come mai avete scelto di riproporlo? Rispetto alla versione originale, nella sua seconda porzione accentua ancora di più il lato doom degli IMAGO MORTIS.

Siamo molto affezionati a questo vecchio inno crepuscolare, dato che ancor oggi ogni tanto lo riproponiamo dal vivo. Siamo convinti che il brano già nel duemila anticipasse quei tratti distintivi che oggi ci caratterizzano maggiormente, sia dal punto di vista compositivo che tematico-espressivo. Era da diverso tempo che bramavamo di riregistrarlo con i mezzi odierni, e riproporlo all’attenzione dei nostri adepti. Abbiamo colto l’occasione di inserirla, assieme a “Donna Lombarda”, nella sessione di registrazioni del nostro ultimo “Ossa Mortuorum…”.

Da oltre dieci anni in alcuni brani inserite l’utilizzo di strumenti particolari, diciamo “estranei” allo standard del metal. Secondo me si inseriscono magistralmente nel contesto sonoro e lirico. Non hai mai avuto l’idea di partorire e comporre un disco intero tramite essi? Avrebbe un fascino arcano.

L’idea è sicuramente allettante, ma a dire il vero la nostra padronanza di questi strumenti tradizionali è molto rudimentale… ma se vogliamo forse è proprio questo l’approccio da mantenere, in quanto, in simbiosi con la cultura tradizionale del passato, la quasi totalità dei suonatori popolari erano estranei alla teoria musicale, suonavano a orecchio, esprimendo le proprie abilità e gusto.

Spesso alla musica e alle emozioni da lei scaturita vengono associati dei colori; quali credi siano quelli che possono essere utilizzati per voi? Ce ne è uno che spicca sugli altri?

Black and violet are the colours….

Oscurità, gelo, rabbia, malinconia sono fra i fattori/cose che hai espresso e sono udibili nella discografia degli IMAGO MORTIS. Senza la band come credi che avresti potuto dare voce alle tue emozioni e a ciò che senti e tieni dentro?

Credo scrivendo delle storie, o magari delle sceneggiature per dei film dell’orrore.

So che apprezzi “La casa dalle finestre che ridono”, capolavoro di Pupi Avati, film di culto assoluto che più passa il tempo più viene citato, ricordato, omaggiato. Quali sono per te le sue caratteristiche più importanti?

Adoro quel film e la sua ambientazione profondamente padana. Ciò che apprezzo maggiormente è quella sensazione di far vivere allo spettatore quell’atmosfera popolare e paesana tipicamente italiana. In questo contesto serpeggiano i pregi e i difetti delle comunità umane, si delineano personaggi particolari, a volte grotteschi, e soprattutto quel perverso meccanismo di custodire segreti indicibili, cercando di consegnarli all’oblio, ma che di tanto in tanto riemergono, come ombre sul far della sera.

Una delle sue frasi simbolo è “Per lui dipingere la morte è vivere”. Comporre, ascoltare musica è per te linfa vitale? Oltre alla musica, quali sono le forme artistiche che ritieni siano state in principio e siano tuttora imprescindibili alla tua esistenza?

Il far musica è molto importante per la mia esistenza, mi aiuta ad esprime e condividere le mie emozioni. Le altre forme artistiche che sento particolarmente sono l’arte e la cinematografia. Mi piace molto vedere film e occasionalmente visitare città, musei e mostre, la corrente che maggiormente apprezzo è il romanticismo.

Per questo film, Avati ebbe l’ispirazione iniziale da un episodio accaduto realmente durante la sua infanzia. C’è un evento/fatto particolare della tua vita che ti ha fornito l’input per creare gli IMAGO MORITS?

Più che evento particolare parlerei di contesto. Quando ero piccolo, nella metà degli anni ’80, con i miei amici di allora ero già appassionato di orrore e mistero. Eravamo convinti che nel bosco in cui giocavamo vi fosse una presenza, ci sentivamo osservati, ogni rumore anomalo per noi era segno che quella cosa si stesse movendo. Arrivammo ad immaginare che si trattasse di un licantropo. Sulle coste, tra i filari dei vigneti e lungo i muretti di pietra invece aleggiava la credenza che vivesse un serpente mostruoso, chiamato “Bès Gatobe”, un serpente vermiforme, esattamente come il Tatzelwurm del folclore alpino. Si diceva che avesse il potere di ipnotizzare le persone e di fargli perdere il senno, era molto temuto. Sempre con i miei amici eravamo convinti anche che presso una chiesetta sconsacrata, usata occasionalmente come magazzino, si celebrassero nottetempo delle messe nere, era una sfida per noi risalire quella collinetta e sbirciare attraverso il buco della serratura per cercare tracce di quei riti. Tutto era alimentato dal mio interesse per le materie occulte e misteriose, mi dilettavo a ritagliare e conservare articoli di giornale inerenti a questo mondo. Quest’atmosfera ha preso forma nel tempo avvicinandomi alla musica metal che poi mi ha condotto sino a qui.

L’orrore, il gotico nel cinema, nella lettura, nella musica e nell’arte hanno da sempre molti estimatori. Spaventano, ma attraggono al tempo stesso. Hai una tua idea, una spiegazione al riguardo?

Il mondo convive da sempre con la paura, fa parte della nostra esistenza. Credo che lo abbia capito molto bene Dario Argento, di cui proprio nei giorni scorsi ho avuto modo di apprezzare la mostra a lui dedicata a Torino. La paura è un’emozione insita nell’uomo, ma anche un motore che ci aiuta a crescere e migliorarci.

In una intervista sul sito Spazio Rock del 2009 parli di un rituale arcaico, pagano avvenuto nella tua famiglia durante una riesumazione. Consideri corretto, sensato conservare i resti fisici delle persone care scomparse? Le loro fotografie, il loro ricordo non basta?

Sì, ma per capirlo dobbiamo addentrarci nel solco della tradizione delle nostre genti. Il conservare un pezzetto d’osso ha la medesima valenza che hanno le reliquie per i cattolici. Quei frammenti che vediamo esposti in tutte le chiese si crede conservino dei poteri taumaturgici e miracolosi, in grado di intervenire sulle persone, una credenza profondamente magico-pagana. La gente conservando un resto d’osso di un caro estinto non fa altro che emulare il medesimo principio, credendo che una parte dell’anima del defunto risieda ancora in quel frammento. Questa cosa viene da molto lontano, dall’arcaico mondo dei Celti, i quali credevano che negli elementi inanimati, come pietre, radure, alberi, teschi ecc… risiedesse uno spirito. I morti, inoltre, si crede ancor oggi che proteggano sempre i propri cari, e vengano in loro soccorso nei momenti di difficoltà. Proprio nei giorni scorsi è uscito sull’ultimo numero della rivista Terra Insubre, sulla quale pubblico abitualmente l’esito delle mie ricerche etnografiche, un articolo sui cani fantasma, incarnazione delle anime dei defunti. Chissà magari un domani sarò io a officiare il medesimo rituale con i miei cari.

Quando ci siamo conosciuti, oltre dieci anni fa, per descrivermi la band hai utilizzato queste frasi: “Gli IMAGO MORTIS sono l’orecchio che ascolta il vento gelido sfregarsi tra i rami secchi con fare da streghe… quella voce che sembra ti chiami in un luogo desolato… sono emissari dello sconosciuto… sono l’ombra che tutti abbiamo l’impressione di vedere passare…”. Quanto può essere affascinante guardare, sentire, percepire il lato oscuro e sconosciuto delle cose, della loro e della nostra esistenza? Vedere passare le ombre invita a seguirle o nascondersi?

Io vivo da sempre con i miei fantasmi e le mie ombre, non posso nascondermi o eludere la loro presenza. La difficoltà è il cercare di scorgerle dall’orlo dell’abisso interiore e spirituale senza cascarci dentro, è questa la forza del negromante. Le ombre comunicano sempre qualcosa, ti conducono verso il mondo della conoscenza arcana.

Nell’album degli ABYSMAL GRIEF “Misfortune” (2009) il brano “Resurrecturis” è introdotto da una voce che recita “Quelli che crediamo vivi praticano qui il culto della morte. Quelli che crediamo morti praticano qui il culto della vita”. Che interpretazione pensi si possa dare a queste parole?

È una delle frasi del memento mori, che portano l’uomo all’interrogarsi sul mistero dell’esistenza umana, un aspetto che personalmente ci attanaglia da diverso tempo. Questa ricerca porta inevitabilmente a vivere stati d’ansia che si esprimono molto bene attraverso le note di alcuni generi del metal, come il black o anche il doom.

Nel brano “In alto come in basso”, brano conclusivo dell’album dei THE MAGIK WAY “Curve Sternum” (2015), il refrain recita “Ciò che era in alto nel basso può stare”. Possono avere più significati queste parole; tu quale chiave di lettura dai ad esse?

Che superando le barriere della razionalità si varcano le porte dello spirito, e lì ogni cosa è possibile. Istintivamente quella frase mi porta alla mente le opere surreali e illusioniste di Maurits Cornelis Escher.

Tornando alla musica, quali ritieni siano le condizioni ideali (a livello di emozioni, sensazioni, atmosfere, umore e luoghi) per ascoltare ed apprezzare gli IMAGO MORTIS?

Credo che le condizioni giuste per ascoltare la nostra musica siano innanzitutto l’imbrunire, illuminato magari da una luce fioca di una candela, nel più totale silenzio. Si deve liberare la mente, bisogna lasciarsi trasportare dalle narrazioni e dalla musica, lasciando che la mente elabori immagini e sensazioni, solo allora si vedranno le porte, lì all’adepto la decisione di aprirle o lasciarle chiuse.

Quali sono i dischi, i libri e i film che ti hanno più colpito nel 2022?

Tra gli ultimi dischi che ho apprezzato vi sono “Shout Demise” degli Unctoris e “Padre Vostro” degli Evil Spell, e i demo di Ulvez. Riguardo i libri sto leggendo “La Stregoneria nelle Alpi”, un compendio di ricerche sull’argomento. Riguardo i film purtroppo questo 2022 non mi ha regalato particolari emozioni, lamento il fatto che la cinematografia si è stagnata e standardizzata per lo più su serie commerciali di stampo americano partorite dalle varie piattaforme. Mi urta il fatto che spesso queste siano solo funzionali a fini consumistici globali. Mi spiace che manchino dei veri registi indipendenti esterni a queste logiche, tengo comunque d’occhio l’operato del regista americano Robert Eggers, che mi sembra stia facendo buone cose.

Ti ringrazio per la disponibilità; a te le parole finali.

Grazie a te per lo spazio concessoci, ai lettori le nostre più sentite condoglianze… mors certa solum tempus incertum est!

- MARCO CAVALLINI -