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OF THE MUSES
"Io sono il Tutto, Io sono il Niente"
Novembre 2023
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Risponde Cristina Rombi

Complimenti per il bellissimo album Cristina e benvenuta sul sito. Vuoi presentarti ai lettori?

Ciao, Marco! Innanzitutto, ti ringrazio dello spazio concessomi, e del tuo apprezzamento. Significa davvero tanto per me.
Presentarmi… ci provo. Non é semplice per me, in quanto sono una persona estremamente introversa, che é un po’ il motivo per cui sento invece il bisogno di mettermi a nudo attraverso la musica. A dirla tutta, non ho neppure un senso del sé troppo stabile, ma, se c’é una cosa che posso dire con assoluta certezza, é che mi alimento di contrasti. La mia personalità é un groviglio di tratti che stridono tra di loro. In passato, ho sentito il bisogno di compartimentalizzarli per risultare più affabile e meno aliena, il che non ha favorito un buon rapporto con me stessa in quanto presto o tardi inizierai a fare molta fatica a tenere insieme i frammenti. Ora come ora sono in pace con le mie contraddizioni, e credo che questo dettaglio, a livello musicale, sia abbastanza percettibile.

C'è un evento/fatto particolare che ti ha fornito l'input per dare vita agli OF THE MUSES? Senza questo progetto come credi avresti potuto dare voce alle tue idee ed emozioni? Quali altre forme artistiche avresti abbracciato?

Una premessa: la maggior parte dei brani che sono finiti su Senhal risalgono a tanti anni fa. Possiamo dire che il disco di debutto di OTM é rimasto un work in progress per un decennio o giù di lì, anche se allora non avevo ben chiaro cosa ne sarebbe stato di quel materiale! E del resto, a posteriori, mi appare chiaro come le circostanze per metterli fuori non fossero ancora mature, così come non lo ero io.
C'é stata sicuramente una molla, una spinta, che mi ha convinto della necessità impellente di uscire allo scoperto: mi trovavo coinvolta in una relazione assolutamente disfunzionale e infelice, e, all’improvviso, senza che fosse previsto né voluto, ho iniziato a provare sentimenti per un’altra persona, in questo caso però irraggiungibile. É stata una folgorazione, qualcosa di estremamente bizzarro, improbabile, ma anche profondamente spirituale, puro, quasi religioso. E pur nell'impossibilità del veder realizzati i miei sogni, ho comunque sentito il bisogno di canalizzare quell’energia di speranza, desiderio e incertezza in qualcosa di concreto, di modo che niente andasse sprecato, e anche per evitare di impazzire. Mi sono lasciata guidare dall’intuito verso alcuni brani già scritti che mi sembravano echeggiare quel mix di sentimenti, e ho composto qualcosa di nuovo per l'occasione. E così é nato Senhal.
Quanto alle possibili altre valvole di sfogo, credo mi sarebbe stato impossibile metabolizzare il tutto senza trasformarlo in musica, ma, forse, la poesia é la modalità che più si avvicina allo stesso livello di catarsi che cantare o suonare mi procura, e, difatti, alcuni stralci delle poesie scritte in quel periodo sono confluiti nelle lyrics del disco. In passato, mi sono cimentata anche con la fotografia ed é sicuramente una forma d’espressione che ancora oggi mi appassiona tantissimo, anche se, per sentirmi spinta a creare con la fotocamera, ho bisogno di input e stimoli ben specifici. Per contro, la musica per me é quanto di più immersivo e totalizzante ci sia.

Cosa e quanto rappresenta per te la musica? Riesci ad immaginare la tua vita senza di essa?

Per farla breve, e forse anche un po’ scontata: la musica per me é tutto. Ho sempre cercato di occuparmi di musica anche quando non ero attivamente coinvolta nella sua creazione: studiandone gli aspetti della produzione, scrivendo recensioni, circondandomi di musicisti. Senza musica, mi sento una persona a metà. Incompleta. Senza voce. Incapace di farsi capire o conoscere, o anche di essere in pace con se stessa. Per me, fare musica significa sentirmi esistere e muovermi con relativa facilità attraverso stati emotivi che, diversamente, si trasformerebbero in zavorre. Significa anche ritrovare quel senso del sé che spesso perdo di vista. Riappropriarmi della mia voce e del mio diritto di esprimere il modo in cui mi sento ed essere chi sono. Venire ascoltata, e, di conseguenza, capita. Ci sono stati anche dei periodi in cui, per causa di forza maggiore, ho dovuto mettere tutto questo in standby e concentrarmi sul tenere sotto controllo altri aspetti (più pratici, diciamo) della mia esistenza, ma mi sentivo come se avessi interrotto una relazione con una persona che amavo ancora profondamente; ci pensavo di continuo, ne soffrivo in silenzio, é stato molto doloroso.

Fra i termini correttamente utilizzati per descrivere il disco c'è blackgaze. Il black metal rappresenta il lato nero della vita, lo shoegaze quello nostalgico; il black metal colpisce con violenza, lo shoegaze accarezza delicatamente. Credi che questi due lati possano coesistere? Appaiono opposti ma a mio avviso possono armonizzarsi perfettamente; sei d'accordo?

Assolutamente d’accordo con te, e ti dirò di più: non solo sono assolutamente convinta che possano coesistere e armonizzarsi, ma quando sento la mancanza di questo dualismo, quantomeno in ambito black metal, faccio veramente fatica a sentirmi coinvolta da ciò che sto ascoltando.
Chiaramente, devo molto al black metal ed é un genere musicale che ha un posto speciale nel mio cuore, perché credo che la sua natura estrema sia foriera di catarsi in un modo che non ha eguali. Quando penso alla violenza che é insita nel DNA di questo tipo di sound la vedo come un fattore assolutamente neutrale, che ha meno a che vedere con l'odio e altre amenità adolescenziali e più con il naturale tasso di intensità emotiva di soggetti ipersensibili. L’essere predisposti a sentire e percepire violentemente significa che l’amore, la nostalgia e l'erotismo possono essere tanto laceranti quanto l’odio, la furia e le pulsioni autodistruttive. Per me, il black metal é un mezzo per esprimere un sentire violento, viscerale; che si tratti di passione, tristezza o perfino euforia.
Ecco, in quest’ottica, per me c’é decisamente una soluzione di continuità tra ciò che é black metal e ciò che, apparentemente e secondo le nostre definizioni, non lo é. E so bene che molti non sarebbero affatto d’accordo.
C’é anche da dire che “scrivere un disco blackgaze” non era propriamente la mia intenzione, ma se questa é la definizione che le persone si sentono di dare, non posso che esserne felice, dato che si tratta comunque di un sound che apprezzo molto. Per quanto mi riguarda, sono semplicemente partita con l’intento di omaggiare il black metal a modo mio, un modo che, probabilmente, lascia spazio anche alla contaminazione tra tante influenze diverse, tra le quali anche quella shoegaze.

Spesso alla musica e alle emozioni da lei scaturita vengono associati dei colori; quali credi siano quelli che possono essere utilizzati per OF THE MUSES? Ce ne è uno che sovrasta gli altri?

Questa é davvero una domanda interessante, perché rispecchia abbastanza fedelmente il mio modo di concepire la musica. Limitatamente a Senhal, perché credo sia anche auspicabile lasciar spazio all’evoluzione, ti direi sicuramente bianco stemperato nel grigio, dato che l’innocenza e la purezza dei sentimenti sono state inghiottite dalla malinconia e dal rimpianto ancora prima di poter sbocciare. E poi il verde, in quanto mentre scrivevo, registravo e cantavo ero circondata da vette, torrenti e foreste. Durante la genesi di questo disco, il verde ha significato isolamento, fertilità (intesa come volontà e possibilità di trasmutare sentimenti e stati d’animo in qualcos'altro), e necessità di appellarsi a un’intelligenza superiore che per certi versi possiamo incontrare e riscontrare nella Natura.

Quali ritieni siano le migliori condizioni (a livello di emozioni, sensazioni, atmosfere, ambienti e umore) per apprezzare al meglio gli OF THE MUSES?

Di certo penso sia indispensabile essere persone introspettive e di larghe vedute. Per quanto invece riguarda atmosfere e ambienti, dovunque sia possibile sognare a occhi aperti, o anche chiusi, come l’oscurità della propria stanza, o magari la foresta all’alba. Oppure, gli spazi liminali di porti, aeroporti, stazioni, quelli in cui ti trovi quando stai per lasciarti qualcosa alle spalle e i ricordi iniziano a prendere forma e farsi nostalgia in tempo reale.

Le frasi iniziali della conclusiva "V" sono: "Io sono distese infinite celate ai tuoi occhi. Io sono incisioni nel legno sotto le tue dita". Il loro significato può essere: "Non puoi vedermi esteticamente, ma puoi sentirmi emotivamente. Fisicamente sono esterna ma puoi sentirmi dentro". Che dici?

É sinceramente impressionante quanto tu abbia colto nel segno. V é forse il brano che preferisco dell’intero disco, e la ragione é proprio quella a cui accenni: ruota tutto attorno all’essere visti, e amati, per come si é nel profondo, non tanto e non solo in virtù di ciò che é visibile e tangibile. Anzi, spesso il focalizzare la propria attenzione sull'ovvio tende a sminuire la sinergia profonda che si può creare tra due anime. Fermarsi alla superficie e a ciò che ci fa comodo mostrare e vedere é semplice e gratificante, ma più si scende in basso, più si incontrano sentimenti e passioni amorfi, indistinti e irrazionali. Incontrarsi nelle profondità, spogliati di ogni difesa o finzione egoica, non é semplice; essere realmente vulnerabili richiede coraggio, ma la vera intimità la trovi solo lì. Quel pezzo é una sorta di segnale radio lanciato allo sbaraglio e il mio modo di dar voce al bisogno, che alberga in ognuno di noi, di essere abbracciata nella mia totalità, per quanto caotica, contraddittoria e disorientante.

Nell'intervista realizzata con Francesco Palumbo lo scorso 24 Maggio, nella tua ultima risposta, fra le altre cose, dici che il sovrannaturale, la stregoneria e la divinazione sono parti integranti della tua quotidianità. Una passione, una volontà o una necessità?

Direi tutte e tre le cose insieme. Ci tengo a precisare che ho un rapporto un po’ conflittuale con il mondo di là, perché, pur facendo esperienza di esso nel quotidiano, rimango comunque una persona tendenzialmente scettica e abituata a mettere in discussione ogni cosa. Quando parliamo di occultismo o stregoneria non ho quindi massime o risposte pronte da offrire, solo maldestri tentativi di concettualizzare qualcosa che sfugge alla razionalità e al nostro controllo. Tuttavia, sento il bisogno di fare frequentemente la spola tra questo mondo e l’altro perché il mistero é un po’ la linfa vitale della speranza, dei sogni e di tante altre cose che mi permettono di conservarmi integra. Se smettessi di credere in ciò che non posso vedere, la mia vita inizierebbe a sembrarmi un deserto di futilità e non sono pronta a votarmi totalmente al nichilismo. Ci metto dentro anche la passione, perché quella é la mia linfa vitale e difficilmente riesco a dedicarmi a qualcosa che non suscita questo tipo di risposta in me.

Cosa fare se l'ultima opzione prende il sopravvento? E' meglio "fermarsi" o si "prosegue" il cammino intrapreso? Un cammino che potrebbe essere tanto affascinante quanto pericoloso al tempo stesso.

Domanda interessante. Se, a un certo punto, ti trovi impossibilitato/a a stare al mondo senza richiedere ossessivamente il responso degli oracoli, o il supporto di entità “altre" per giustificare le tue decisioni, se, in poche parole, inizi a delegare la tua agentivitá a qualcun altro o qualcos’altro e a lasciare che la tua spiritualità si cristallizzi in dogma, significa che stai venendo manovrato/a da qualcosa di profondamente irrisolto, e, a quel punto, é opportuno fare un passo indietro e cercare di ristabilire l’equilibrio, magari andando in terapia, se necessario, o comunque scavando a fondo per capire quale bisogno represso tu stia cercando di proiettare sul tuo rapporto con spiriti, demoni, angeli, egregore o divinità. Spero di aver interpretato correttamente le tue parole.

Sempre in questa risposta, parli di sogni in cui ricevi premonizioni o visite da parte di altre persone. Ti è mai successo che un sogno si è poi "tradotto/trasformato" in realtà? In tal caso come lo si deve interpretare, quale significato gli si deve dare?

Assolutamente sì, mi é capitato spesso e mi capita a tutt'oggi. L’errore in cui molte persone cadono, specie quelle alle prime armi o che non credono davvero nella legittimità dei sogni come metodo di divinazione, é credere che abbia senso ricercare interpretazioni universali a qualcosa di profondamente soggettivo. Nessuno sarà mai in grado di dirti con certezza cosa significano i tuoi sogni; può aver senso scavare nella simbologia e nell’iconografia del tuo background ancestrale, ma un qualcosa che sorge da una parte così intima del tuo essere difficilmente sarà decifrabile da qualcuno che non sia tu. L’unica ragione per cui posso parlare con una certa sicurezza della mia esperienza in fatto di sogni premonitori é che, col tempo, ho imparato a osservare e conoscermi, e a superare la smania di ottenere risposte certe. Ho anche preso atto del fatto che le mie esperienze in tal senso non hanno né avranno mai nulla di sensazionale o cinematografico; per esempio, non ho mai imparato sul serio a sognare lucidamente, probabilmente perché la mia “peculiarità” non é quella. Ci sono tantissimi modi di interagire con questo mondo, che non devono per forza coinvolgere lo spostamento dei corpi sottili o qualsiasi altro cliché siamo abituati a considerare come massima espressione del legame tra sogni e realtà. E questo, a mio parere, é proprio il fulcro di tutto: lasciare la teoria, i libri, i social, gli slogan altisonanti da parte e dedicarsi a esplorare e sviscerare la propria esperienza e il proprio sentire nella pratica. E, aggiungo anche, rispettare il mistero. Le cose hanno i loro tempi di maturazione.

Sognare persone care scomparse credi sia un "segnale/messaggio" per farci sentire/capire la loro "presenza"? Quale e quanto "peso" logico ed emotivo dargli?

Anche in questo caso, é importante affidarsi al proprio discernimento. In primis: che sensazione ti ha lasciato addosso l’ “incontro”? Il visitatore ha tenuto dei comportamenti familiari? Lo svolgersi della vostra interazione ha avuto un senso? Erano presenti riferimenti nel contesto che sembravano avere un certo tipo di carica simbolica?
Per come la vedo io, é del tutto possibile che le persone scomparse possano avere interesse a trattenersi ancora un po’ da queste parti per tenerci d’occhio o per chissà quale altro motivo, e che, in alcuni casi, cerchino di attirare la nostra attenzione. Spesso, nella mia esperienza, succede anche il contrario, ovvero il destare l’attenzione di qualcuno che non é più fisicamente qui! (Un po’ quel che accade quando iniziamo a pensare insistentemente a una persona, che magari non c’é più, e incominciamo a notare strane coincidenze intorno a noi, o addirittura, appunto, a sognarla).
Come sempre, non posso dare risposte certe, anche perché neppure io le ho mai trovate. Ha molto peso il rapporto che si ha o si aveva con la persona in questione, le circostanze che un determinato individuo (vivo) si trova ad attraversare. Ma soprattutto, é vitale ascoltare la propria voce interiore prima ancora che quella degli altri, senza raccontarsela ma anche senza precludersi nessuna possibilità.

Nella musica, nella letteratura, nel cinema, nell'arte in generale, spesso gli autori dedicano le loro opere a persone defunte. Tu ritieni importante il ricordo di chi non c'è più? A volte può, in alcune circostanze e in parte "influenzare" la nostra vita?

Non so come ciò sia possibile, ma hai in un certo qual modo intuito il concept che sta alla base del secondo disco di OTM, a cui sto lavorando, e questo, in sé, ha un che di sovrannaturale! Io penso che non sia poi così infrequente co-creare con entità invisibili; scrivere un brano o creare arte dal nulla é, in sé, una pratica estremamente spirituale che ci porta a plasmare suoni, colori e parole laddove prima c’erano soltanto silenzio o una tela bianca. É un atto a tutti gli effetti teurgico. Ci sono dischi e brani che sembrano giungerci da un luogo remoto, trascendente, oltre la condizione umana, ed é allora che ci innamoriamo perdutamente, magari al primo ascolto. Ecco, secondo me le due cose sono strettamente collegate. Sono assolutamente convinta che il sentirsi ispirati nel senso artistico del termine sia sintomatico dell’essere canali aperti di comunicazione con qualcosa di “altro”.
Questo, naturalmente, può includere i defunti, gli antenati anche molto distanti nel tempo e nello spazio, tutti coloro che non sono più fisicamente qui. Ciò che ho avuto modo di osservare é che alcuni di loro possono avere un bisogno davvero urgente di far sentire la propria voce, raccontare le proprie storie, trasmettere la propria frustrazione e rabbia, il proprio rimorso o desiderio di rivalsa.
Il seguito di Senhal sta nascendo così, con molta accortezza e reverenza, come dedica a una persona per me importante che ha lasciato questo mondo molti anni fa, ma che sta influenzando profondamente il processo di songwriting e la “direzione creativa", e anche come tributo a tutte le persone la cui vita si é interrotta in circostanze e per cause analoghe, profondamente segnate da ingiustizia e pregiudizio. Molte di esse sono morte lottando contro il tempo, contro le istituzioni e contro lo stigma sociale. Mi sembra importante onorarne la dignità e preservarne il ricordo; magari c’é una minuscola probabilità che sia esattamente ciò che loro vogliono che io faccia, ma questo non posso e non potrò mai dirlo con certezza.

Hai paura della morte? Cosa c'è, a tuo parere in base dopo di essa?

Ultimamente, é una domanda che mi pongo davvero spesso, per le ragioni di cui sopra. Per quanto possa suonare pretenzioso e forse anche vagamente arrogante, non ho paura di morire; ho paura di morire senza aver vissuto. Se dovessi morire domani, mi porterei dietro una mole inquantificabile di rimpianti e rimorsi e probabilmente non riuscirei a staccarmi da questa Terra per andare là dove é necessario che vada. Che di sicuro non é il Paradiso, o l’Inferno, almeno non per me.
Probabilmente, il “cosa ti succede” e il “dove vai” dipendono largamente da chi e come tiene in vita la tua memoria. Magari, il tuo personale aldilà é qualcosa che ti crei tu mentre sei ancora in vita, a seconda di ciò in cui credi e di cui ti cibi spiritualmente. Per quanto mi riguarda, spero soltanto di non tornare più, né come persona fisica, né come presenza molesta che infesta il salotto di qualche malcapitato.

"La morte non è un periodo di chiusura dell'esistenza, ma soltanto un intermezzo, un passaggio da una forma a un'altra dell'essere infinito" (Wilhelm Von Humboldt). Concordi?

Sí, perché no? Del resto, cosa significa, realmente, esistere? Il concetto stesso é estremamente fluido. Specialmente quando si parla di arte, o di qualsiasi atto che ti porta a lasciare un’impronta di qualche tipo sulla collettività. Fintantoché le tue azioni continueranno a plasmare la realtà anche dopo la tua morte, non cesserai mai di esistere.

"Quelli che crediamo vivi, praticano il culto della morte. Quelli che crediamo morti, praticano qui il culto della vita" (ABYSMAL GRIEF "Resurrecturis" - 2009). Quali interpretazioni dai a queste parole?

Come in molti casi, le interpretazioni potrebbero essere un’infinità. Penso soprattutto al paradosso, che molti credono un’eccezione e che é invece la natura stessa della realtà che ci circonda. E così, paradossalmente, i confini che crediamo separino la vita dalla morte e questo mondo dall'altro sono ben più malleabili di quanto crediamo. E, altrettanto paradossalmente, la nostra società ha il culto della morte pur avendone terrore e avendola relegata a mero tabù. Ci riempiamo la bocca di rispetto della vita, crescita, progresso, mentre viviamo come se ogni cosa dovesse morire con noi, con tutto ciò che ne consegue (sfruttamento indiscriminato di risorse, diritti calpestati e negati, una società sempre più invivibile).

"La malinconia è lo stato d'animo in cui preferiamo gustarci l'ombra perché ci sembra più vera dalla luce" (Fabrizio Campagna). Condividi queste parole? Credi che a volte si potrebbe poi correre il rischio di farsi "inghiottire" da questa ombra al punto da non poterne più fare a meno?

La malinconia é un sentimento che mi visita spesso. Per me, di solito, parte tutto dall’accettazione dell’assenza di qualcosa o qualcuno, o dalla nostalgia di qualcosa che non é mai stato e che, probabilmente, mai sarà. E l’accettazione é importante e persino salutare, perché si traduce in un rapporto sano con le proprie emozioni. A patto che non si tramuti poi in rassegnazione e sensazione di sconfitta. É uno stato d'animo, anche quello, che conosco molto bene, e riconosco che, spesso, rassegnarsi é quanto di più vicino alla pace si possa sperimentare. É per questo che, a volte, non riusciamo a sottrarci, io per prima. Forse, fare pace con l’idea della morte sarebbe d’aiuto anche in questo senso: comprendere che attraverso l'accettazione della fine, e degli stati d’animo più cupi e tetri che ne derivano, é possibile spianare la strada alla bellezza.

Ti ringrazio per l'attenzione; lascio a te e parole finali.

Ringrazio io te, Marco, per l’opportunità e per le fantastiche domande, di una profondità davvero fuori dal comune. É stato un piacere, e spero lo sia stato anche per chi legge. A tutti voi va la mia più profonda gratitudine.

- MARCO CAVALLINI -