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THE MAGIK WAY
"Il Potere del Rosso"
Marzo 2023
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Risponde NEQUAM - Flavio Domenico Porrati

Ciao Flavio. “Dracula” finora era una vostra opera privata di cui si sapeva dell’esistenza ma che pochissime persone avevano potuto ascoltare. La stampa ufficiale odierna è dovuta al fatto che ricorrono 25 anni dalla performance o ci sono altri significati?

Ciao Marco, ciao a tutti i lettori.
L’uscita di Dracula è finalizzata innanzitutto a colmare un vuoto. Era sempre stata nostra intenzione, prima o poi, di stampare, quello che a tutti gli effetti può essere considerata la prima “presa di coscienza” rispetto al nostro suono e alla direzione artistica poi intrapresa. Negli anni tanti appassionati ci hanno chiesto di stampare quel lavoro, ormai divenuto di culto per un certo settore musicale. Dracula sancisce l’inizio dei The Magik Way. L’anniversario dei 25 anni ci è sembrato una buona occasione per proporlo, tra l’altro con un’installazione all’interno di una cornice prestigiosa come quella del Luppolo in Rock. Un modo inedito di apparire, in uno spazio esclusivo donatoci dall’amico Matteo Gobbi e dal patron Massimo Pacifico che ringraziamo di cuore.

Quale fu lo spunto iniziale per realizzare questo disco? Foste voi a contattare la compagnia teatrale Teatro Degli Specchi o loro a cercarvi? Forse era tutto già scritto?

Fu la compagnia a contattarci. Scrivemmo delle bozze che il regista ed alcuni attori vennero ad ascoltare presso il nostro primo non luogo, il famigerato “Posto”, allestimento annegato nel nero, tre piani sottoterra, dove campeggiava il Sigillum Electrale a terra e fari rossi al livello di pavimento, luogo che è possibile intravedere nel libretto di Materia Occulta. Un luogo veramente molto suggestivo e creato con l’intento di sprofondare nelle nostre pratiche. Rimasero molto impressionati dalla proposta sonora che si ispirava alla musica applicata, a quella sperimentale più che al “rock estremo” che ci aveva reso delle piccole celebrità nella nostra città. Più di tutto credo che Hermes abbia intuito che per noi, musicare Dracula andava aldilà del mero esercizio stilistico, ma qualcosa che rientrava nelle nostre passioni dell’epoca. Io e Diabolic Obsession, autori delle musiche, sapevamo bene che raccontare le gesta del vampiro sarebbe stato senz’altro un modo per approfondire tematiche a noi care, ma viste da un’ottica più horrorifica. E fu anche per questo che la collaborazione proseguì con soddisfazione per tutti.

I brani della vostra opera sono dieci; li ritenevate i temi, le fasi più importanti del libro a cui dare la vostra interpretazione?

I brani sono suddivisi secondo i cambi scenici, il copione che Hermes Beltame ci diede da seguire. La sua volontà era quella di assecondare l’andamento epistolare del romanzo, per questo ogni brano fa storia a sè, come dieci piccoli affreschi sonori.

La fotografia della performance live posta all’interno dell’artwork ha un sapore quasi arcano nella sua “opacità”. E’ come un “vedo ma non troppo a lucido, intuisco ma non tutto, posso immaginare“; e ciò è stimolante.

Devi tenere conto del fatto che il Castello di Pomaro, dove Dracula fu messo in scena per la prima volta, era una sorta di palcoscenico naturale.
Scalinate simmetriche, ghiaia, statue in pietra. Si aggiunga il fatto che ogni orpello visivo era originale, ciò dava un senso di profondo realismo alla scena, tutt’altro che artefatta ma anzi carica di potenza.
Gli abiti, gli orpelli cimiteriali, il trucco, tutto fu studiato in un’ottica realistica.
Parliamo degli anni ’90, un’epoca dove ancora non esisteva nessuna ironia attorno a certi temi, oggi dribblati con maestria e rappresentati al limite del grottesco.
Non esiste materiale fotografico, quello che vedi è quello che avevamo a disposizione e ovviamente con quel buio e i mezzi dell’epoca l’intelligibilità era assai scarsa. D’altronde lo sforzo d’immaginazione dell’ascoltatore è oggi più che mai elemento fondamentale per fruire di un’opera così particolare e anzi, diciamo che nel suo insieme posso dire che l’intera operazione è stata portata avanti con l’intento di preservare quell’aria rarefatta e antica, polverosa dell’epoca.

Il colore dominante del libretto è il rosso; a questa tinta si associano, fra le altre cose, il fuoco, la passione, il calore, il sangue. Elementi a volte pericolosi, ma imprescindibili per la nostra esistenza; non credi?

Il potere del rosso lo conobbi fin dai primi studi sull’aura e poi della pittura. Tensione e conflitto, forza primordiale, vibrazione sessuale, creativa e distruttrice. Quelle erano all’epoca le nostre mire, laddove la figura del vampiro rimandava chiaramente alla sessualità, ad ambigue pratiche. L’intero libretto vira dal rosso all’arancione, dal rosa a tinte più acide, tonalità presenti nelle foto originali e nelle locandine. Ci è sembrato giusto e suggestivo mantenerne le caratteristiche.

Non sono presenti le liriche; c’è un particolare motivo?

Dracula può a tutti gli effetti considerarsi un lavoro strumentale. Ad eccezione delle parti di reading, scritte dal regista, tutto il resto è puramente fonetico.

“Dracula” è il famosissimo romanzo di Bram Stoker di cui è nota la trasposizione cinematografica in più versioni. L’orrore e il gotico, nel cinema come nella lettura, nella musica e nell’arte hanno da sempre tantissimi estimatori. Spaventano, ma attraggono al tempo stesso. Hai una tua idea, una spiegazione al riguardo?

Esiste una parte ignota che ogni uomo contiene e del quale è cosciente, lo rifugge per azione di norme sociali, per azione dell’eterna rielaborazione dell’Io, ma inevitabilmente fa ritorno ad esse, psicologicamente, chimicamente, poiché tale richiamo affonda le proprie radici in una dimensione primitiva.
I greci utilizzavano le gutturali per descrivere qualcosa di terrorizzante, fuori dal controllo dell’uomo, e il sovrumano era assolutamente annoverato tra questi. Prima ancora i totem, le maschere funerarie, le maledizioni all’ingresso dei luoghi di sepoltura, i racconti macabri che gli anziani facevano ai bambini, l’accettazione della vita attraverso il suo contrario. L’abisso. La morte. L’horror per me ha un preciso compito sociale, come tutte le istanze che ho appena citato. Mio padre mi indicava sempre una vecchia casa cantoniera, ai bordi delle rotaie, mi diceva che sarei stato rapito qualora non mi fossi comportato bene. Ad un tempo ero terrorizzato, spinto ad un comportamento virtuoso, al contempo quel monito mi completava, mi metteva in contatto con quella parte antica che sapevo esistere dentro di me. Per questo attraversavo le rotaie e mi sottoponevo a quella paura, aggirandomi attorno a quella casa, inghiottita nella vegetazione. In qualche modo mi serviva.

Restando nel settore, so che apprezzi Pupi Avati. Il suo “La casa dalle finestre che ridono” è un film di culto assoluto che, più passano gli anni, più viene citato, ricordato, omaggiato. Quali sono secondo te la sue caratteristiche più importanti?

L’intuizione del gotico padano fu geniale.
L’esaltazione della dimensione contadina, di pianura, del pauroso insito nella consuetudine. Ci sono nelle opere di Avati delle costanti: la presenza di un cattolicesimo di paese, superstizioso e strisciante, quasi più del maligno che si cela dietro a strani fatti e terribili verità sepolte. Il bene e il male che si fondono e non si distinguono. Una sorta di rovesciamento. Questa è secondo me la cifra che lo rende unico nel suo genere.

Una delle sue frasi simbolo è “Per lui dipingere la morte è vivere”. Quali sono le forme artistiche che ritieni siano la tua linfa vitale?

La scrittura, certamente.
Subito dopo scrivere musica, anche se quello è un processo più complesso e meno istintivo.

Per questo film, Avati ebbe l’ispirazione iniziale da un episodio accaduto realmente durante la sua infanzia. C’è un evento/fatto particolare della tua vita che ti ha fornito l’input per creare THE MAGIK WAY?

Beh in ogni lavoro dei The Magik Way c’è sempre una componente autobiografica, non fosse altro perché gli argomenti trattati non sono presi a prestito per essere musicati, ma sono il risultato di un percorso personale.
Anzi ti dirò che ultimamente alcune mie composizioni anticipano eventi che poi mi accadono nella vita. Al temine de “Il Rinato” ad esempio ho vissuto un periodo terribile di salute e altre questioni personali, che mi hanno immediatamente catapultato nella dimensione del “folgorato”, colui che credendo di avere raggiunto una stabilità di mente e anima cade nell’errore della pratica e quindi soccombe. Ora mi trovo in una dimensione nuovamente orizzontale, permeata di angosce e che mi rimandano a ricordi d’infanzia e ad altre atmosfere che sto appunto affrontando per il futuro prossimo di The Magik Way. E’ un continuo rincorrersi, tra Alto e Basso. E anche l’ispirazione arriva quando è il momento, altrimenti evito di cimentarmi, anzi mi mantengo a distanza da carta, penna e qualsivoglia strumento musicale. Quando è ora, qualcosa arriva e devo solo assecondarlo.

Spesso hai detto che è stata la mia telefonata del 2011 a rimettere in qualche modo in moto, a ridare “vita” ai THE MAGIK WAY. Senza questa telefonata, i THE MAGIK WAY avrebbero comunque ripreso “corpo” in un campo artistico esterno a quello musicale?

Lo dico e lo sottolineo.
I The Magik Way nel periodo 2000-2010 avevano ormai intrapreso la strada delle performance estemporanee, di una ricerca forsennata ma molto ermetica, anche critica di una certa routine musicale per la quale non sentivamo più alcun trasporto, e che in definitiva poteva consumarci. Senza la tua telefonata non ci sarebbe stato alcun ritorno discografico. A quel punto però potevamo tornare secondo le nostre regole.

Nella vita pare che certe porte chiuse non si riapriranno e certi cerchi fermi non si muoveranno più. A volte invece accade il contrario; porte che erano chiuse si spalancano e cerchi che erano fermi riprendono a girare ancora più velocemente di prima. Concordi?

Assolutamente. Per quanto ci sforziamo di cercare una logica in ogni cosa, non siamo consapevoli di nulla. Questo accade perché non c’è correlazione tra causa ed effetto. Ogni reazione è di per sé frutto di istanze ben più profonde di una mera reattività dello stadio cosciente.

Parecchi anni fa mi dicesti questa frase: “Il caso non esiste. E’ l’essere umano a non percepire il collegamento tra gli eventi e le persone. Ogni cosa accade secondo necessità”. Ne sei tuttora convinto?

Se osserviamo la realtà solo in superficie potremmo comodamente cedere all’idea che la vita sia fatta di combinazioni, ma non è così. Nel substrato dell’inconscio, nella fitta rete che regola la natura, fatta perlopiù di eventi chimici e fisici a noi quasi del tutto ignoti, ogni cosa procede secondo un disegno che si auto-alimenta. Non parlo di entità divine, o per lo meno non ne parlo nell’accezione più classica. Credo che il divino risieda nella natura delle cose (un concetto molto antico) e che noi, con questi occhi di carne, possiamo vedere ben poco. Cosa accade all’interno del nostro corpo? Come mai il processo spirituale di una civiltà si è arrestato così bruscamente a favore di una dormiente e tecnologica realtà? Un caso? Suvvia. E’ una catena di eventi. Nel bene e nel male, ogni cosa compie un cerchio. Non servono astruse teorie per comprendere questo concetto, che è lo stesso più volte espresso da civiltà antichissime che avevano il merito di non scindere mai l’uomo dal suo contesto, di non considerarlo superiore alla natura, ma elemento della stessa. Solo così si può comprendere il “ogni cosa accade secondo Necessità” di Eraclito.

Nel brano “In alto come in basso”, brano conclusivo di “Curve Sternum” (2015), il refrain recita “Ciò che era in alto nel basso può stare”. Possono avere più significati queste parole; quale ritieni sia la chiave di lettura più corretta?

La citazione è quella di Ermete Trismegisto. La possiamo riallacciare alla domanda precedente. All’infinita relazione tra il grande e il piccolo.
Nel brano conclusivo di Curve Sternum, l’adepto sente di essersi liberato dall’oppressione terrigna, sente di potersi spingere oltre. Percepisce appunto quel disegno che lo vuole parte di un tempo ciclico. Si immagina per la prima volta di veder avverata sulla Terra la finezza del cielo. Sappiamo che si sbaglia, ma non per l’errore di un precetto invece corretto, ma come sempre per una cattiva lettura degli insegnamenti.

“Resurrecturis”, brano del 2009 degli ABYSMAL GRIEF, è introdotto da una voce che recita “Quelli che crediamo vivi, praticano il culto della morte. Quelli che crediamo morti, praticano qui il culto della vita”. Tu quali interpretazioni dai a queste parole?

Non saprei. Non ho mai pensato di “credere” in qualcosa e non riesco ad immedesimarmi in chi crede in qualsivoglia cosa. Amo i giochi linguistici e credo di trovarmi di fronte ad uno di esso. Vita è divenire. Morte è trasformazione. Non c’è pace né stasi in entrambe, forse solo momentanea distensione muscolare e nervosa nella seconda, almeno nell’alveo del corpo. Ma sarebbe da dimostrare anche quello. Omnia ab uno et in unum omnia.

Nel brano de L‘IMPERO DELLE OMBRE “Marmo freddo” (2020) le parole finali del testo sono “Nel giardino senza età ho sepolto la mia anima”. In base alle tue conoscenze/esperienze credi che l’anima resterà sempre sepolta o avrà la possibilità di trasferirsi?

Anche qui, come per gli Abysmal Grief, stimando entrambe le band, credo che vi sia una volontà artistica, profonda, di condivisione di pensieri e assunti di base.
L’anima, ben difficile darne una definizione, la filosofia, la teologia, la psicologia, la letteratura se ne sono ampiamente occupati.
Rimango fedele, se così si può dire, alla visone greca, dove “psychè” altro non era che l’interiorità nella sua complessità, la traccia d’aratro, la memoria specifica dell’Essere. Platone parlava di Anima anche riferendosi al mondo, quella che poi i latini definirono Anima Mundi. Meno mi interessa la visione cristiana che attraverso la Resurrezione del corpo, preferisce arginare l’anima e la sua portata.
L’anima la vedo come quel predetto ciclico, un Oroboros che attende il corpo, lo precede, non ne fa parte, non nasce con esso e sempre si espande. Mi piace pensarlo, mi piace pormi domande in questo senso.

Spiritismo, occultismo, esoterismo. Cosa ti portò in principio all’interesse verso di essi?

Un richiamo. Forte, poderoso. Inizialmente latente, tale era l’allegorismo, anche un po’ d’accatto conosciuto in tenera età. Gli ascolti musicali facevano da filtro e in qualche modo lo svilivano, ora che posso mettere ordine nei miei pensieri e prescindere dalla pratica artistica riconosco senza dubbi quella che è una mia predisposizione, che non ha nulla a che fare con la mia vera o presunta creatività.

Quanto credi che le vostre attività esoteriche “influiscano” sulla proposta sonoro/artistica? Le ritieni strettamente collegate? Senza di una non ci sarebbe l’altra?

Strettamente collegate, in maniera imprescindibile.

La ricerca della “conoscenza” è infinita, guai se avesse un punto di arrivo, giusto?

Intanto varrebbe la pena una volta per tutte di declinare al plurale il termine “conoscenza”. Altrimenti diventa solo un miraggio per ognuno, o una parola d’effetto.
Esistono processi che portano all’acquisizione di conoscenze. Piccole e grandi. Momentanee pure. La conoscenza non ha nulla a che fare con il sapere, ha invece a che fare con il preesistente. Ogni conoscenza viene ri-conosciuta. E’ infatti sempre stata lì.

La vostra proposta artistica vuole suggerire messaggi, dare l’input di approfondire certi interessi, guardarsi dentro?

Sarebbe un po’ ambizioso. Diciamo che, per come è concepita, la nostra musica mira a toccare corde particolari. E’ rivolta a tutti quelli che associano all’esperienza dell’ascolto (o della visione) un’altra più meditativa. Battiato tanti anni fa disse “la musica è metafisica e se ne infischia del nostro desiderio di rappresentazione”. Sono sempre molto d’accordo.

Ritieni sia possibile, come affermato da qualcuno, “raggiungere la luce attraverso il buio/le tenebre”?

Se per luce si intende una maggiore consapevolezza di sé, certamente sì.

Quando si parla di dark sound italiano, imparentato con un certo mondo occulto/esoterico, non si può non pensare a PAUL CHAIN/PAOLO CATENA. Molti non hanno mai capito, o meglio accettato, la cancellazione, da parte di Paolo, del suo passato. Tu che ne pensi?

Penso che Paul Chain sia un artista libero. A lui riconosco il grande merito di non essersi ancorato al suo passato, a non essere diventato succube del suo personaggio, magari con l’obiettivo di fare cassa. Direi che nel nostro mondo ce ne sono già troppi. Trovo anzi estremamente interessanti i lavori attuali, sia in campo musicale che pittorico. Avrebbe dovuto tenere il cappuccio in testa e la croce al collo a vita, forse? In questo senso, nella sua apparente distopia, lo trovo autentico.

Ristampare vecchie cose è anche una “operazione” nostalgica. Quale è il significato che tu dai alla nostalgia e a ciò che essa comporta? Alcuni la definiscono una scorciatoia, una fuga dai pensieri/problemi del momento. Una frase recita: “La nostalgia è il letto secco del fiume che continua a ricordarsi le carezze dell’acqua” (F. Caramagna). Concordi?

La nostalgia sarebbe il meno. La nostalgia è di per sé un sentimento naturale. Le ristampe discografiche hanno solo ed esclusivamente un obiettivo: fare soldi senza sforzo creativo alcuno. Fare leva su appassionati, collezionisti, che talvolta sfociano nel mero accumulo, una debolezza che essi stessi riconoscono. A volte anche ridendoci su, che è la cosa migliore. L’acquirente, quello sì, può essere un nostalgico, un appassionato incolpevole. Da artista preferirò sempre e comunque l’evoluzione artistica, libera, sana, rischiosa, al continuo rinvangare.

Victor Hugo disse “La malinconia è la felicità di sentirsi tristi”. Tu che ne pensi? Quanto può durare questa felicità?

Dura finché non la si guarda per quello che è: una gabbia della mente

L’apatia è definita una malattia, ma non credi che a volte possa essere invece un’esigenza personale indispensabile per affrontare certe emozioni/situazioni?

Esiste una dimensione dove il corpo impone una tregua. Non la definirei apatia, semmai fase depressiva. De-pressione, ossia sollevarsi da qualcosa che ci ha pressato, sfinito, abbattuto. Non c’è nulla di male né di sbagliato, anche se questa società tende a criminalizzare il depresso, proponendogli ricette tout court come la “resilienza”, un abominio di parola che con la scusa dell’adattamento ci suggerisce di sopportare qualsiasi sopruso. Viviamo in una società fondata sul senso di inadeguatezza, tutto ciò che ci vendono è finalizzato a lenire questa terribile condizione di sudditanza psicologica.

Col lavoro che fai ti senti per certi versi "proprietario" della vita, o almeno di parte di essa, degli altri? Anni fa mi dicesti che la mente è una gabbia; non hai timore che una volta entrato poi sarà difficilissimo uscirne?

Io opero nella riabilitazione psichiatrica, dove vige il principio dell’asimmetria. Io sono io, il paziente è il paziente. Solo così posso essergli utile. Empatizzando il giusto, rimanendo concentrato sulle sue richieste, anche e soprattutto non esplicitate verbalmente. L’uomo di oggi è principalmente fatto di mente: baricentro altissimo, respiro corto, posture contratte. Questi sono solo alcuni dei danni provocati dalla mente. Controllare la mente, depotenziarla, strappargli la sua leadership è ormai una vera urgenza.

Nella musica, nel cinema, nella letteratura, nell’arte in generale, spesso gli autori dedicano le loro opere a persone scomparse. Tu ritieni importante il ricordo di chi non c’è più? Può, anche se solo in minima parte, “influenzare” la nostra vita?

Lo si può fare come tributo, come atto d’amore, come atto di riconoscenza. Quando qualcuno ci manca significa che ha lasciato una traccia importante durante il suo passaggio. Un sentimento che ho provato in maniera fortissima quando a Natale seppi della scomparsa di Vincenzo Barone. Sebbene non potessi millantare chissà quale amicizia, la sua scomparsa mi ha profondamente scosso.

La ristampa di “Dracula” chiude tutto ciò che riguarda il trascorso musicale di THE MAGIK WAY o in futuro potrebbero esserci altre sorprese in tal senso?

Intanto non possiamo definirla una ristampa, giacché il demo-tape dell’epoca non aveva neppure una copertina e non fu mai venduto ma regalato a pochissime persone.
Fatta questa doverosa precisazione, al momento non c’è altro materiale inedito papabile per una pubblicazione retrospettiva, sebbene esistano altri episodi sulla falsa riga di Cosmocaos: installazioni, commenti sonori che utilizzammo per mostre pittoriche e lunghe session d’improvvisazione.

So che avete partecipato al tributo che la Black Widow Records pubblicherà in futuro dedicato a H.P. Lovecraft, uno dei miei scrittori preferiti. Quali sono le sue caratteristiche che più apprezzi?

Non mi reputo un conoscitore e ammetto di averlo letto principalmente da molto giovane.
L’occasione di questa release di Black Widow però mi ha dato modo di riprenderlo in mano e devo dire che a questa età è tutto un altro discorso.
Abbiamo scelto di fare un omaggio (anche video) di Hypnos, poiché quel racconto è colmo di citazioni e visioni iniziatiche, sappiamo tutti che Lovecraft aveva dalla sua una cultura straordinaria. Ecco che unire intuizioni come l’orrore cosmico a tematiche esoteriche e alchemiche, citazioni classiche, genera uno scenario ideale per il nostro mondo musicale e immaginifico. Anche per questo non ci siamo fermati alla sola scrittura del brano per Black Widow ma ne abbiamo dato una lettura anche video. Tale video, verrà proposto, come video-performance il 18 marzo a Torino, durante il Burning Tower Feast, un evento incentrato sulla magia e l’esoterismo e che vedrà l’adesione di artisti come Agghiastru, Ponte del Diavolo, Esoteric, per citarne alcuni. Un modo per noi di proporci in una veste extra-musicale in una città come Torino, che amiamo da sempre.

Da anni mi parli del tuo desiderio di trasferire la espressività dei THE MAGIK WAY in uno spettacolo che unisca musica e video arte. Posso immaginare che durante la rimasterizzazione e il lavoro di grafica di “Dracula” in qualche modo tu abbia “rivissuto” lo spettacolo teatrale di 25 anni fa e che, di conseguenza, sia aumentata la brama di risalire su un palco. Credi ci sarà in futuro la possibilità di concretizzare questo desiderio?

Non ci poniamo limiti: noi pratichiamo la musica come la video-arte, la performance come le arti visive in generale. Sarebbe magnifico unire queste arti per un’unica proposta dal vivo. Aspettiamo solo che qualche illuminato e pazzo promoter si faccia avanti. Con noi, da sempre, tutte le regole saltano, quindi serve coraggio.

Grazie, come sempre, per l’attenzione; lascio a te le parole finali.

Grazie a te Marco, per l’amicizia di cui mi onori e per lo spazio che tramite SpectraWeb dai a tanti artisti.

- MARCO CAVALLINI -