A cura di Marco Cavallini e Daniele Manno, risponde Danilo Capua
Marco:
Ciao Danilo e benvenuto su SPECTRAWEB. Per iniziare, prendo spunto da “La casa dalle finestre che ridono”, capolavoro di Pupi Avati. Una delle sue frasi simbolo è “Per lui dipingere la morte è vivere”. Cosa, quanto rappresenta per te la pittura?
Non è un segreto che io apprezzi molto l'arte cinematografica di Avati [ne ha anche realizzato un ritratto a olio, poi stampato all’interno del libro “Il gotico padano”, nota di Daniele] e mi fa piacere che parti da un suo esempio piuttosto eloquente per giungere a una mia considerazione in merito. Per quanto possa risultare strano, vista l'iconografia di molti miei soggetti, non ho mai avuto interesse a dipingere la "morte" ma bensì qualcosa legato alla vita (la mia) che nascosto nei recessi meno illuminati dell'inconscio scalpita e urla per giungere in superficie, riuscendoci, sovente, a stento. Questo discorso, ovviamente, non vale per tutti i soggetti che ho realizzato fino ad ora. La ritrattistica merita un discorso a parte.
La pittura, sicuramente, è una dimensione artistica che nutre lo spirito come poche altre per quanto mi riguarda, e il praticarla (e al contempo fruirne) apre a suggestive connessioni che mi rammarico di non aver mai coltivato come avrebbero meritato.
Per questo film, Avati trasse l’ispirazione iniziale da un episodio accaduto realmente durante la sua infanzia. C’è un evento/fatto particolare della tua vita che ti ha fornito l’input per iniziare a dipingere?
Episodi della mia infanzia ce ne sono stati eccome e sicuramente hanno avuto in qualche modo un ruolo preponderante per quello che sarebbero stati i "soggetti" e il mio stile pittorico a venire. Si può dedurre che il contesto dell'epoca non sia stato propriamente facile.
Solo successivamente in Accademia di Belle Arti (metà anni ‘90 circa) ho imparato a dipingere ad olio e questo mi ha dato l'opportunità di materializzare le inquietudini a cui alludevo prima. In contemporanea, il piacere della ritrattistica e il desiderio di dare forma ai mondi surreali che creavano scrittori che prediligevo hanno fatto sì che affinassi la tecnica quanto bastava per coagulare su tela e legno queste forme in maniera che mi soddisfacessero.
Oltre a quello artistico, credo che uno degli scopi del dipingere sia dare voce a ciò che si è e che si tiene dentro ma lo si vuole mostrare, a volte è quasi una necessità. Concordi? Come pensi avresti potuto esprimerti senza la pittura?
Certo, sono pienamente d'accordo con quello che dici e in gran parte ho già risposto precedentemente alla tua domanda. Sicuramente la scrittura avrebbe potuto essere una dimensione alternativa che troverei confacente a esprimere la mia persona, ma avrei bisogno di approfondire e rafforzare alcune "impalcature" che attualmente mi mancano. Credo, comunque, che quelle poche volte in cui ne usufruisco, si possano intravedere "i miei colori", tra le righe.
Immagino tu abbia un’idea base di partenza; una volta che inizi hai poi bisogno di un ambiente, uno stato umorale/psicologico particolare per dare vita alla tue opere?
Sicuramente non amo dipingere "en plein air" ma prediligo contesti più intimi e raccolti. Al momento usufruisco di un piccolo ambiente/studio nella mia abitazione.
Per quanto riguarda la condizione ideale per pormi innanzi al cavalletto, non devo essere sotto effetto di stanchezza mentale, fisica o particolari stress. Malgrado possa apparire poco materico (mi riferisco alla corposità della pasta di colore nei miei lavori) il dipingere mi porta via parecchie energie. Solo successivamente, nel progredire del soggetto, vengono a crearsi le giuste alchimie interiori, le quali fungono da trampolino per trasmigrare dall'iniziale approccio esecutivo all'inesplicabile e suggestiva dimensione chiamata "Arte".
C’è un quadro, una copertina di un disco che ogni volta che li guardi pensi “avrei voluto disegnarla io”?
Sinceramente no. Quando mi approccio a un disco lo faccio da fruitore esterno e mi pongo da un'angolazione diversa nel valutarne l'estetica. Il Danilo che dipinge in quel momento non esiste. Stesso discorso nel contemplare le arti figurative altrui. Apprezzo ma non invidio.
Oltre alla pittura, un’altra tua grande passione è la musica. Da tantissimi anni molte tue opere accompagnano dischi la cui matrice sonora, abbracciando più generi, è oscura, gotica, arcana, misteriosa, malinconica. C’è un motivo particolare?
Credo che il motivo stia nel bagaglio culturale in parte analogo che accomuna il sottoscritto e molti dei musicisti/artisti con cui ho collaborato. Con alcuni si è creata anche una particolare stima e empatia che han permesso di fare incontrare le rispettive espressioni in una dimensione artistica ideale in cui da ambo le parti ci si rispecchia. Alcuni miei dipinti sono stati "abbinati" alla musica, altri sono cresciuti assieme a lei e al concetto che voleva esprimere.
Tendenzialmente i miei quadri si possono trovare su copertine di dischi che affrontano tematiche "dark" nelle loro varie sfaccettature ma ci sono esempi che esulano dal genere, come quello degli "Universal Totem Orchestra", tanto per fare un nome. La loro proposta affronta un jazz/progressive molto raffinato e la prima volta che li ascoltai rimasi parecchio spiazzato, perché non ero avvezzo a quelle conturbanti e eleganti sonorità, ma al contempo, però, venivo stimolato nell'affrontare questa collaborazione artistica, che si riproponeva di fare convivere mondi che non si erano mai conosciuti. Evidentemente c'era un minimo comun denominatore di pensiero e affinità che in qualche modo ci legava "già da prima", visto che abbiamo proseguito assieme per anni, creando un "ensemble" funzionale e credibile, a giudicare dalle opinioni generali che ho sentito.
Nell’arte in generale (musica, pittura, letteratura, cinema) molti autori dedicano le opere a persone defunte. Tu ritieni importante il ricordo di chi non c’è più? Quali significati può avere dedicare la propria arte a loro?
Sì, penso che sia importante, anche perché inconsciamente il percorso di ogni artista è già di per sé la stratificazione di influenze e suggestioni di chi è venuto prima, filtrato e arricchito, però, attraverso la propria identità.
In ogni Opera è già presente in maniera latente una dedica anche se non espressamente dichiarata.
Daniele:
Prima di procedere con l'intervista, ho avuto una conversazione con una persona, la violinista e attrice Arianna Luci, incentrata proprio sulla tua pittura, portatrice di numerosi spunti e suggestioni. Nel visionare alcune tue opere, mi ha fatto notare dei possibili punti di contatto fra certe figure presenti nella tua arte e le maschere larvali di Jacques Lecoq: le ha descritte come maschere naif, per la loro essenza semplici, essenziali, con una psicologia non semplice, in grado di comunicare senza linguaggio verbale. Cosa pensi di questo parallelismo?
Per quanto riguarda il parallelismo che ha fatto la violinista e attrice Arianna Luci che ti accompagna, sono andato a visionare le maschere a cui si riferiva perché non le conoscevo e posso confermare vi siano affinità e probabilmente anche intenti analoghi. Il mio dipingere queste "maschere" o "non volti" può essere il connubio tra un approccio teatrale e rurale/arcaico (lo stile volutamente naif, sintetico e spartano è riconducibile a quest'ultimo intento). C'è la volontà, attraverso il paradosso, di usare un approccio più di sintesi possibile di riuscire a giungere a un'espressività al contempo latente e dirompente. Si intuisce che qualcosa di animato si cela dietro a questi "supporti" filtrando attraverso le voragini nere di occhi e bocche. Spesso nella mia pittura si vede di più quello che non si vede.
Quali sono il supporto o la tecnica che prediligi per esprimerti e perché?
Dipende dal soggetto che voglio affrontare. Partiamo dal supporto; se parliamo di una figura particolarmente materica e che sia in primo piano scelgo la tela, perché assorbe di meno e il colore vi rimane prevalentemente in superficie.
Se invece intendo rappresentare un soggetto che voglio rendere evanescente o solo accennato, è più indicato il legno perché assorbe molto di più il colore e così posso gestire meglio le pennellate, facendo emergere la figura dal nero acrilico che uso come base preparatoria, fino alla messa a fuoco desiderata.
Generalmente uso la tecnica della pittura ad olio perché mi permette un maggior controllo dei cromatismi e poi la trovo particolarmente indicata per lo stile con cui elaboro i miei soggetti. Ho sempre trovato che abbia un qualcosa di "magico" (mi si passi il termine) che mi ha sempre affascinato e che difficilmente ho riscontrato nelle altre tecniche artistiche. Non mi dispiace il carboncino ma lo uso raramente.
Se la tua arte promanasse da uno strumento musicale, quale sarebbe?
Mi viene in mente un violino leggermente scordato.
Che rapporto hai con il silenzio?
Un rapporto molto intimo se può essere pertinente questo termine. È un santuario medicamentoso imprescindibile per la mia persona, dove sovente trovo riparo e ristoro.
Nella mia pittura gli ho fatto molte dediche, una tra tutte è "Il Suonatore di Silenzio" ma posso tranquillamente dire che tutti i miei dipinti sono permeati da lui anche quando "urlano".
È una dimensione pura e nobile ma non sempre di facile gestione. Nel silenzio di ognuno di noi si nascondono tante cose a cui dobbiamo rendere conto, volente o nolente.
Visto il tuo forte legame con la musica, hai mai pensato alla possibilità di collaborare alla realizzazione di un video musicale animato, partendo da tuoi disegni o dipinti? Come ti figureresti un'eventualità del genere?
Guarda, ci pensai qualche anno fa a cosa sarebbero potuti diventare alcuni miei soggetti se virati in animazione (o tecnica a passo uno) ma era solo una semplice curiosità.
Credo che la mia pittura viva una dimensione intima tutta sua e non so se la valorizzerebbe una riproposizione di questo tipo. Diverrebbe un'altra cosa... Magari carina esteticamente ma lontana dalle contingenze e necessità per cui è nata.
Comunque sono stati realizzati, in passato, dei video accompagnatori per dei concerti di gruppi ("Universal Totem Orchestra" e "Il Segno del Comando") per i quali ho realizzato delle copertine, in cui venivano riproposti dei miei dipinti in sequenza alternati ad altre immagini, ma è un contesto differente. Non si parlava in questo caso di animazione, ma di sovrapposizione di immagini dei miei quadri da usare come scenografia proiettata su uno sfondo.
Cosa senti quando osservi un tuo quadro, un tuo disegno, un vecchio bozzetto?
Ci sono dei miei lavori che pur essendo stati eseguiti parecchi anni fa trovo che mantengano immutato un certo magnetismo, per altri si è assottigliato nel tempo.
Questo posso giustificarlo col fatto che alcuni nascevano per puro scopo illustrativo, quindi prettamente un esercizio di maniera. Il trasporto con cui venivano eseguiti era per lo più decorativo, quindi il coinvolgimento era di base estetico e poco più. Fortunatamente questi sono una piccolissima parte della mia produzione pittorica.
Quelli che reputo più rappresentativi si trovano esposti nella mia abitazione e nonostante l'abitudine di vederli quotidianamente sono ancora soddisfatto del risultato esecutivo e dell'impatto emozionale.
Tendenzialmente devo essere un minimo soddisfatto da quello che ho creato sennò non lo rendo "ufficiale", anche se nel tempo ho ottenuto responsi positivi da quadri che ritenevo alquanto marginali.
Dal punto di vista della suggestione, quando mi pongo innanzi a un mio dipinto, mi sento osservato. Molti dei miei soggetti hanno un'impostazione frontale e sembrano attendere una qualche risposta da chi li sta contemplando. Probabilmente la verità della mia pittura sta proprio in questo... Sono solo domande dipinte che attendono riscontri difficilmente esprimibili a parole.
Marco:
Grazie per l’attenzione; a te le parole finali.
Il mio ringraziamento va a voi per aver fatto in modo che quello che rimane nelle retrovie della mia espressione artistica si sia palesato, facendo venire alla luce dettagli che non sono affatto secondari ai miei quadri ma ne sono, invece, una ulteriore e importantissima cornice.
- MARCO CAVALLINI e DANIELE MANNO -