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STEFANO CAVANNA
"L'eterno dolore"
Gennaio 2024
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Risponde Stefano Cavanna

Ciao Stefano, benvenuto su Spectraweb e complimenti per il bellissimo libro. Qual è stato l'input per iniziare a scriverlo? Quando ha preso corpo in te l'idea di cimentarti in questa opera?

Ciao Marco e grazie per i complimenti, che sono sempre estremamente graditi. L’idea è nata nei primi mesi del 2020 e non è un periodo casuale visto che, come tutti ben ricordiamo, coincide con il momento in cui da un giorno all’altro ci siamo ritrovati confinati in casa o nella migliore delle ipotesi, limitati in tutte le nostre abituali attività dallo sgradito avvento della pandemia. La necessità di reinventarsi il molto tempo libero a disposizione è coincisa il desiderio di scovare nuove band che fossero dedite al funeral doom, al che ho iniziato a sondare il web per trovare qualche pubblicazione in merito, scoprendo che non era mai stato fatto nulla genere in alcuna parte del mondo. Quindi ho pensato che sarebbe stato stimolante provare ad essere il primo a riuscirci ma, oggettivamente, senza soverchie speranze riguardo a un possibile sbocco editoriale, proprio per la relativa popolarità del sottogenere; fortunatamente, le mie pessimistiche previsioni sono stato smentite.

Il titolo, azzeccato, è "Il suono del dolore"; qual è questo suono? Quanto è profondo?

La mia proposta iniziale in realtà è stata Mournful Sounds, che poi era la denominazione del mio blog (ora trasformatosi per motivi di tempo e opportunità in una più snella pagina Facebook), ma poi i ragazzi di Tsunami hanno giustamente proposto questo titolo più efficace, che ne ha concettualmente lo stesso significato. Il dolore è un sentimento che ci accompagna per tutta la vita, con una profondità che è direttamente proporzionale alla sensibilità di ciascun individuo, ma nessuno può definirsene immune; quello trattato nel libro scaturisce dall’elaborazione della perdita e si somma alla crescente consapevolezza della caducità dell’esistenza: tutto ciò viene idealmente rappresentato dai suoni e dai testi del funeral doom.

Il libro è anche un modo per dare voce alla tua passione per la musica. Cosa, quanto rappresenta per te la musica? Riesci ad immaginare la tua vita senza di essa?

No, non ci riesco, la musica in senso lato è la forma d’arte che ha accompagnato tutti i momenti della mia esistenza, consentendomi di sublimare la bellezza di quelli positivi e di lenire lo sconforto di quelli negativi; si tratta di una sorta di magia che si ripete quotidianamente e una delle sensazioni più gratificanti è la scoperta di nuovi dischi in grado di regalare emozioni impagabili anche quando si pensa, sbagliando, che il meglio sia già stato dato in passato. Questo è un errore molto diffuso che accomuna gran parte degli appassionati e per quanto mi riguarda si tratta di un atteggiamento di chiusura che possiede tratti masochistici; da quando, adolescente nei primi anni ’70, ho iniziato ad ascoltare il progressive rock non ho comunque smesso di ricercare nuovi artisti e forme musicali negli ambiti più disparati e di certo non me ne sono mai pentito.

Per descrivere il funeral doom, nelle note di copertina a un certo punto è scritto "Note tristi e dolenti capaci di restituire un effetto catartico difficilmente riscontrabile nelle altre forme d'arte". Quali caratteristiche senti/percepisci nel funeral doom rispetto agli altri generi?

L’effetto catartico è appunto la chiave di lettura più appropriata; ovviamente si parla di sonorità che non sono alla portata di tutti e che, proprio per questo, non possono essere fruite distrattamente o con il semplice scopo di svagarsi. L’ascolto di musica dolente, intensa e lacerante, almeno nei miei confronti ha un effetto benefico, tanto più paradossalmente quando il mio umore non è esattamente dei migliori. Credo che tali caratteristiche possano essere ugualmente rinvenibili anche nelle forme più melodiche del death doom o in quelle più atmosferiche del depressive black, mentre con tutti gli altri sottogeneri del metal o del rock le percezioni possono essere altrettanto gratificanti ma sostanzialmente diverse.

Nell'introduzione, fra le altre cose, si legge "Le porte di accesso alla musica del destino sono molteplici e nessuna di queste è chiusa a doppia mandata". Sono d'accordo e ti chiedo: secondo te, una volta entrati, è poi impossibile uscire e chiuderle?

Esattamente, l’ascolto di certe sonorità è un veleno che si insinua lentamente fino a creare una sorta di assuefazione. L’unico problema, appunto, è trovare il coraggio di spalancare una di queste porte, perché molti rifiutano a priori l’approccio al funeral, un po’ per snobismo intellettuale (ti risparmio le stucchevoli querelle con i custodi del tempio di un ipotetico “true doom”), un po’ perché si tratta pur sempre di uno stile musicale estremo e comprensibilmente non tutti riescono a venire a patti sia con la rarefazione dei ritmi sia con lo stile vocale in growl.

Per descrivere la musica e le emozioni da lei scaturite si possano associare dei colori. Quali credi siano quelli che possono essere utilizzati per il funeral doom? Il nero sovrasta, ma ce ne sono altri?

Anche se vado controcorrente penso che il vero colore associabile al funeral doom sia il grigio, dalle tonalità variabili a seconda del grado di cupezza evocato dalla musica. Personalmente lo considero come un colore che ben si identifica con il momento in cui avviene il trapasso, il passaggio da uno stato all’altro in cui immagino che la consapevolezza della fine si sovrapponga all’umana speranza che ci sia un dopo, in qualsiasi forma.

A livello lirico/concettuale una delle tematiche affrontate frequentemente in questo genere è la morte e quanto le sta intorno. Tu hai paura della morte? Cosa c'è a tuo parere dopo di essa?

Mi riaggancio a quanto detto prima: io non sono credente e non penso che dopo la morte ci spetti per l’eternità un premio o una condanna in base a quanto fatto in vita. In tal senso, però, invidio chi ci crede perché forse il suo approssimarsi alla fine dell’esistenza potrà trovare un certo sollievo grazie alla fede religiosa, ma penso anche che, paradossalmente, più si invecchia e più sia facile convivere con l’idea che il proprio percorso si stia avvicinando alla fine; per quanto mi riguarda avevo più paura della morte quando avevo 30 o 40 anni (a 20 no, perché si pensa d’essere immortali) che non adesso che ne ho più di 60, l’importante è lasciarsi alle spalle i rimpianti e vivere il presente senza scervellarsi sugli errori commessi in passato o autoinfliggersi supplementi di ansia pensando a quale potrà essere il futuro.

Morte che può avvenire anche per mano propria e la storia dice che la cosa non è rara. Il suicidio è un atto che da un lato è visto come un atto di sconfitta/debolezza, dal lato opposto appare come un gesto di forza/coraggio. Che idea, opinione hai in merito?

E’ difficile esprimere un giudizio in quanto si tratta di scelte quanto mai intime, per lo più conseguenti a profondi stati depressivi che rendono l’opzione suicidaria l’unica praticabile per porre fine a laceranti sofferenze psichiche; in tal senso per molti, musicisti e non, la musica può diventare una vera ancora di salvezza per scongiurare la decisione di compiere un gesto così estremo. Quindi da parte mia il giudizio è quello del massimo rispetto, ovviamente escludendo chi decide di coinvolgere altre persone nella propria deriva, e mi riferisco in particolare a tutti gli uomini che si suicidano dopo aver massacrato la propria famiglia o chi compie stragi mosso dall’esaltazione religiosa; nel primo caso parlerei solo di vigliaccheria, nel secondo di criminale ignoranza.

Nella musica, nella letteratura, nel cinema, nell'arte in generale, spesso gli autori dedicano le loro opere a persone scomparse. Tu ritieni importante il ricordo di chi non c'è più?

Certamente, non a caso anche in ambito funeral molte delle opere migliori sono caratterizzate da un sentire melanconico che è strettamente connesso al pensiero costante, spesso ossessivo, nei confronti di chi non c’è più. Per esempio, nel libro dedico un paragrafo ai Mistress of the Dead, one man band ceca che al riguardo può essere definita un caso emblematico, visto che il musicista in questione dedica tutti i suoi lavori all’irrisolta elaborazione del lutto riguardante la prematura scomparsa di una sua amica d’infanzia. Per quanto mi riguarda, le persone a me care, così come anche gli animali che mi sono stati accanto nel corso della mia vita, sono sempre nei miei pensieri anche molti anni dopo la loro dipartita ma, fortunatamente, questo viene invece elaborato sotto forma di una consolatoria forma di nostalgia.

Tornando alla musica, in ambito funeral doom quali sono i tuoi dischi preferiti del 2023 che sta andando a concludersi? E quali ritieni siano fondamentali, quelli che consiglieresti ad un neofita per iniziare a conoscere il genere?

Il 2023 è stato di nuovo un anno piuttosto fertile a livello di uscite e tra le migliori ne cito una manciata: “Chthonic” dei Mesmur, “Implosions” dei Decemberance, “The Exuviae of Gods - Part II” dei maestri Mournful Congregation e i più recenti “No Dawn for the Caliginous Night” dei Convocation e “Abîmes I” degli Slow; una menzione a parte la merita un capolavoro assoluto come “Future's Shadow Part 1 - The Clandestine Gate” dei Bell Witch, un’opera difficilmente eguagliabile per coraggio (si tratta di una traccia unica della durata di un’ora e venti) e intensità. Ad un neofita, tra i dischi che ho citato consiglierei l’ascolto proprio di Convocation e Slow, in quanto il loro funeral viene esibito nella sua veste più atmosferica e quindi è più agevolmente fruibile, così come lo è nella sua interezza l’operato dei Clouds, anche se qui siamo su un piano più intimista e meno luttuoso, mentre tra le band del passato un buon inizio potrebbe essere scoprire le discografie di Ea, Shape of Despair e Colosseum. Se parliamo di dischi fondamentali, direi che, oltre al seminale “Stream from the Heavens” dei Thergothon, lo sono anche le opere prime di altre band guida del sottogenere come Skepticism, Evoken, Esoteric, Pantheist, Funeral e Mournful Congregation.

E' tutto. Grazie per l'attenzione, a te le parole finali.

Intanto ringrazio di cuore voi di SpectraWeb per l’impagabile lavoro di divulgazione della cultura musicale underground, un ambito in cui ci sarebbe bisogno di una coesione e di un’unità di intenti che, invece, troppo spesso viene vanificata da atteggiamenti divisivi messi in atto da tutte le sue componenti; poi non posso fare a meno di esprimere la mia gratitudine alla Tsunami Edizioni, nelle persone di Eugenio e Max, per aver creduto fin dal primo momento in un progetto come quello di un saggio dedicato un sottogenere di nicchia quale è il funeral doom (per di più scritto da un illustre sconosciuto) e, non ultimi, a tutti coloro i quali mi hanno dato fiducia acquistando e leggendo il libro. A proposito, per chi fosse incuriosito dall’intervista e volesse procedere all’acquisto, “Il Suono del Dolore” è disponibile sulle principali piattaforme online, ovviamente presso il sito dell’editore e, eventualmente, può essere acquistato anche contattandomi direttamente all’indirizzo e-mail denisecavanna@gmail.com. Chi volesse approfondire ulteriormente i contenuti del libro può trovare su YouTube i contributi video di alcune presentazioni, tra cui quella particolarmente suggestiva avvenuta nella chiesa sconsacrata di Pinerolo in occasione del Church of Crow Doom Festival dello scorso maggio ( https://www.youtube.com/watch?v=V7UvJThhfDY ); infine, chi desidera restare aggiornato sulle principali novità in ambito funeral/death doom può trovare i miei suggerimenti di ascolto sulla webzine In Your Eyes e, in versione inglese, sulla pagina Facebook Mournful Sounds, oppure ascoltando il programma radiofonico Overthewall, in onda ogni settimana su diverse web radio italiane.

- MARCO CAVALLINI -