Duncan Patterson non ha bisogno di presentazioni; coi suoi vari gruppi/progetti
è un autore dedito da oltre vent’anni alla musica crepuscolare e decadente, avendo abbracciato vari lidi sonori nella sua lunga carriera.
Oggi è il turno di Alternative 4, e la malinconia scorre di nuovo a fiumi. Ho letto alcune recensioni riguardo questo album e tutte calcano maggiormente il tasto sul voler cercare ad ogni costo paragoni coi gruppi precedenti di Duncan, piuttosto che rivelare la bellezza di questo “The Brink”. Lascio quindi che questi ascoltatori perdano il loro tempo a cercare e trovare dove una canzone di oggi può ricordare una del passato, dove una melodia o un’idea echeggiano note composte precedentemente dall’artista inglese. Io mi lascio invece tramortire dalla potenza dell’iniziale “False light”, trasportare dalla nostalgia di “Alternate” (echi dei Porcupine Tree in lontananza) e ascolto rapito “Automata” una canzone che fonde dolcezza e tristezza come pochissime volte è capitato di ascoltare. Infine resto incantato davanti alla grandezza di “Underlooked” e “The Brink (reprise)". Il primo è un brano in puro stile Dead Can Dance; una voce profonda (ottimo il cantante Mark Kelson) accompagnata da un pianoforte che emette dolenti note che vanno e vengono, intrecciandosi con sporadici echi di silenzio mistico. La seconda è una lunga suite, aperta da angelico coro femminile che si protrae per tutto il brano su cui entra un pianoforte che emette note profonde; arrivano anche la sezione ritmica e i synths e la canzone vola verso orizzonti sonori infiniti.
Musica che gronda emozioni ad ogni nota; non mi pare poco.
- MARCO CAVALLINI -