Dovrà arrivare prima o poi il giorno in cui agli Anathema sarà riconosciuta la loro grandezza; un giorno in cui venga loro attribuita l'incredibile abilità di fondere, come nessun altro, gioia e dolore, spensieratezza e malinconia in un unico stato sonoro.
Il lungo silenzio/pausa dal precedente "A natural disaster" (pubblicato ben sette anni fa) avrebbe annientato chiunque, togliendo la voglia di continuare ad andare avanti, ma i fratelli Cavanagh hanno lasciato che fossero le sole emozioni a guidarli, concependo così l'ennesimo capolavoro da parte del gruppo inglese.
La sfortuna degli Anathema è stata quella di non poter mai essere inquadrati completamente in un solo genere musicale nel corso della loro carriera; all'inizio troppo poco oscuri per i fans del doom, poi troppo poco tristi per quelli del gothic, poi troppo poco "flippati" per quelli della psichedelia, poi troppo poco "colti" per quelli del prog, ancora troppo poco sognanti per quelli dello shoegaze/dreampop, ed infine troppo poco "out" per i cultori del post rock.
Gli Anathema vivono da anni in un limbo dove le emozioni di questi stili vanno ad abbracciarsi una con l'altra, risultando una manna dal cielo per chiunque sappia apprezzare le varie sfumature dei generi sopra elencati.
Ecco quindi che la sofferta delicatezza di "Thin air" e "Dreaming light" (i Sigur Ros si inchineranno ascoltandola) si alterna alla sferzata d'energia data da "Everything" e "Get off get out", facendo correre lontane le emozioni.
Il colpo di grazia è dato dalle conclusive "Universal" e "Hindsight", due capolavori in cui le note arrivano quasi al silenzio per poi esplodere in crescendo pazzeschi, come se il mare al tramonto dopo ore di totale quiete producesse onde in grado di infrangere gli scogli; immaginare un simile panorama è meraviglioso, e con questo disco lo si può fare.
- MARCO CAVALLINI -