"Quando l'inferno chiama il tuo nome, non c'è via di ritorno"
(DarkThrone "Beholding the throne of the night").
Pupi Avati per anni non ha risposto all'appello, ma alla fine ne ha sentito, forte, il richiamo.
Deluso pesantemente dall'insuccesso de "Il nascondiglio" (2007), negli anni successivi aveva dichiarato in più occasioni che il cinema gotico/horror era per lui un capitolo definitivamente chiuso, mai più sarebbe tornato ad occuparsene.
Aveva cercato di uscire dal mondo da lui stesso creato; pareva esserci riuscito, ma nel 2017 ha sentito, parole sue, la "voglia di tornare alle paure e alle cose che mi spaventavano quando ero ragazzino, le storie che mi accompagnavano quando ero bambino".
"Il Signor Diavolo" è il libro pubblicato nel 2018 (Guanda Edizioni) e il 22 Agosto 2019 è uscito al cinema (DueA Film), anticipato dall'attesa febbrile dei moltissimi estimatori che altro non chiedevano se non un ritorno al gotico padano da parte del maestro romano.
La qualità del libro aveva creato aspettative enormi, completamente ripagate.
Un delitto misterioso, feroce e inquietante, apparentemente senza logica e la cui sinistra motivazione è una sola: la vendetta di un ragazzino, il cui miglior amico è stato ucciso da chi gli abitanti del luogo considerano un "essere diverso".
Lio Piccolo, nel lido veneziano, è il luogo in cui si svolge la storia, e questa è l'occasione, per Pupi, di richiamare i luoghi emiliani dove ha vissuto la propria infanzia e dai quali evidentemente non riesce a liberarsi del tutto. Il mondo è quello contadino, con ciò che lo contraddistingue: enormi campi di coltivazioni, borghi isolati se non abbandonati, luoghi ecclesiastici costruiti nella solitudine estrema, case contadine prossime a sgretolarsi.
Località dove la nebbia avvolge le paludi fino a nasconderle; borgate dove la sera, chiuse coi lucchetti porte e finestre, nessuno osa mettere più piede fuori di casa; e nelle case, una volta spente le luci, qualsiasi scricchiolio e fruscio, anche i minimi, fanno raggelare il sangue.
Le comunità cercano di trovare luce nel mondo ecclesiastico, mondo che a volte nasconde segreti inconfessabili.
Pupi avrebbe voluto girare il film in bianco nero. La casa di distribuzione RAI Cinema gli ha imposto le riprese a colori e lui si è rifatto a modo suo, utilizzando colori sfumati, opachi, che evidenziano tutte le qualità del regista.
Venezia e le zone limitrofe sono solitamente associate al sole; qui si entra in un universo grigio, spento, velato.
I venti secondi finali, inediti rispetto al libro, lasciano aperta una porta. Quella porta che da bambini si vuole non sia mai chiusa del tutto per non rimanere soli al buio, ma oltre la quale, in realtà, il male non svanisce.
- MARCO CAVALLINI -