Adoro la nebbia padana, dona un senso di nostalgia e malinconia particolari, e in talune circostanze sa infondere un profondo senso di inquietudine. Come in questo libro.
Aurora Scalviati è un’ispettrice della squadra mobile di Torino che a causa di uno sconvolgente evento (trauma che cerca di curare anche attraverso sedute elettro shock clandestine) viene trasferita a Sparvara, piccola cittadina emiliana. “Laggiù non succede mai niente, è quello che ti ci vuole per riprenderti” le viene detto dal vicequestore. Ma le cose non andranno così….
Cadaveri e storie sepolti che riaffiorano anche dopo più di 20 anni; case infestate, ville fatiscenti teatro negli anni di crimini efferati.
Manicomi abbandonati dal pensiero comune ma nella realtà ancora in servizio per “curare” i pazienti in essi ricoverati (o meglio, prigionieri).
A fare da luogo a questi inquietanti eventi sono i paesini persi della bassa campagna emiliana, piccole comunità chiuse in sé stesse la cui vita scorre sempre allo stesso modo.
Gente che non vede di buon occhio i nuovi arrivati, gli “stranieri”, e che, soprattutto, vive un evento nuovo per la propria quotidianità come un fatto sconvolgente, traumatico.
Vista anche la sua scorrevolezza, il libro invita ad essere letto tutto d’un fiato, ma così facendo si rischia di non prestare attenzione ad alcuni particolari che invece risultano poi essere davvero importanti.
Se il capolavoro “La casa dalle finestre che ridono” rappresenta per voi un culto assoluto, immergetevi nelle pagine di “Aurora nel buio”. Le finestre si riapriranno…
- MARCO CAVALLINI -