I Black Land non ci mettono molto a far capire quale sia il genere da loro
proposto.
Il titolo è una dichiarazione d'intenti, la copertina e le grafiche rimandano agli artwork degli Ufomammut, e i titoli dei brani sono scritti nell'identico carattere utilizzato dagli Electric Wizard nel capolavoro "Dopethrone"; serve altro?
Il quartetto italiano predilige brani lunghi ed articolati dove abbondano le parti strumentali, confezionando un disco dove pesantezza sonora e umori psych si bilanciano egregiamente.
Peccato per la produzione, che non è male, ma risulta un po' piatta e smorza in parte l'impatto di un disco che avrebbe potuto risultare devastante (immagino che dal vivo i nostri siano una bomba).
L'iniziale "Psych n° 1" è introdotta da un moog dal notevole tasso spaziale, prima che le chitarre entrino di prepotenza a dare forma al brano.
I brani seguenti proseguono su un canonico doomrock nemmeno eccessivamente lento e mai troppo monocorde, vista anche l'alternanza di cadenze che i nostri danno alle songs.
Comunque è nella seconda parte del disco che i nostri tirano fuori le cose migliori.
Dapprima con "R'n'R Gate", il brano che meglio rappresenta l'intero album, col suo start acustico seguito da frequenti cambi di cadenze e umori, chitarre in perenne conflitto fra toni liquidi ed enormi riffs, e l'azzeccato inserto di un hammond a chiudere il tutto.
La seguente "Holy weeds of the cosmos" è invece un vero trip acustico dal sapore orientale immerso in un mood notturno, mentre le conclusive "From the black to the rainbow" e "Victims of the past" affondano nel doom lisergico con frequenti inserti pischedelici e code finali tipicamente space oriented.
Se amate il genere, l'acquisto è obbligato.
- MARCO CAVALLINI -