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OPETH
"Heritagei"
Roadrunner - 2011

Con questo nuovo album (il decimo della loro carriera) gli Opeth ritentano in qualche modo l’esperimento effettuato col grande “Damnation”, ovvero comporre un album dimenticando il lato estremo della loro musica, concentrandosi esclusivamente sul lato soft che comunque da anni, in certe situazioni, accompagna le loro sonorità.
Ne viene fuori un disco completamente immerso nei seventies (per atmosfere e sonorità), che se all’inizio affascina, e molto, alla fine annoia, e non poco. Le iniziali (dopo un breve intro strumentale) “The devil’s orchard” e “I feel the dark” sono due gioellini di progressive rock ombroso e malinconico, enfatizzati dalla voce pulita di un Mikael Akerfeldt ispirato come non mai e dal pazzesco lavoro di Per Wiberg (tastiere, synth, mellotron, hammond e altro ancora). Il problema, a mio parere, è che in questo genere musicale, o si azzeccano dieci brani su dieci, oppure la noia prende il sopravvento su qualsiasi altra emozione e sensazione.
Gli Opeth (come moltissimi altri, intendiamoci) non ce la fanno, e dalla quarta canzone in poi il disco diventa lento, stanco, monotono e non regala più i sussulti dati dalle prime due songs.
Sfido i fans del gruppo, anche i più incalliti, a non sbadigliare almeno una volta nell’ascolto di questo disco, perfetto dal punto di vista esecutivo e tecnico, ma privo di quell’energia emotiva che ogni album, per essere definito capolavoro, dovrebbe dare.
Pazienza; chissà che un futuro ritorno a sonorità più hard non ce li restituisca più ispirati di come lo sono adesso.
- MARCO CAVALLINI -