Stare dietro alle pubblicazioni di Paolo Catena è diventata impresa ardua, se non impossibile.
Liberatosi da vincoli con label discografiche, il nostro negli ultimi anni ha sciorinato releases una dietro l’altra, creando anche una certa confusione utilizzando più monicker (The Improvisor, Paul Cat, Translate e altri), e a mio avviso non ha certo aiutato la scelta della stampa in edizioni limitate in pochissime copie distribuite esclusivamente da lui stesso (e il lavoro qui recensito non fa eccezione a questa regola).
Ad ogni modo, dopo il doppio capitolo “Quadri musicali” rilasciato a nome Paolo Catena, ecco oggi arrivare “Inedits”.
Disco che esce a nome Translate in quanto raccoglie canzoni composte e registrate fino al 2009, anno in cui Paolo ha accantonato questo monicker.
Due le certezze assolute di questo disco.
La prima è che la chitarra elettrica torna l’ assoluta protagonista delle composizioni.
La seconda è che “Inedits” è il disco più doom oriented che Paolo abbia mai realizzato da oltre dieci anni ad oggi.
Il doom come lo ha sempre inteso Paolo, ovvero lenti e tetri riffs sabbathiani perennemente attraversati/miscelati agli umori psichedelici e spaziali creati dalla sua chitarra atti a dipingere quadri sonori che danno differenti emozioni ad ogni nuovo ascolto.
“Inedits” echeggia quindi le cupe sonorità e soprattutto le atmosfere grigio/nere della prima discografia a nome Paul Chain Violet Theatre e sovente richiama alla spossante lentezza del capolavoro “Alkahest”, presentando inoltre reminiscenze del duo “Sign from space”/”Cosmic wind” nelle fasi in cui Paolo lascia che la sua passione per la psichedelia e lo space rock guidino il suo estro.
Spiace la presenza di brani molto brevi, quasi sicuramente sono una versione bozza che poi magari sarà stata allungata (ma qui non pubblicata) o lasciata morire; un vero peccato.
Diversamente, “Reason of changes”, “Surniacat”, la conclusiva ossessionante “The end of love (in the world)” sono manna dal cielo per i molti nostalgici dei suoi esordi, ascoltatori che, credo si possa dire, mai avrebbe immaginato di ascoltare una nuova release di questo tipo dal nostro.
Vetta assoluta del disco è a mio avviso la drammatica “Poetry” (impreziosita inoltre dal dolce cantato in francese di Lola Sprint), testimonianza di quante emozioni sappia ancora trasmettere in note l’artista marchigiano.
- MARCO CAVALLINI -