Che dire di un disco del genere? Un disco che riporta i Paradise Lost indietro di quasi ventanni, suonando come una versione 2009 di un mix fra "Gothic", "Draconian times" e (soprattutto) "Shades of God"?
La consapevolezza di trovarsi di fronte ad un album precostruito a tavolino è spazzata via dall'incredibile efficacia di queste dieci canzoni, una più bella dell'altra ed in grado di far rivivere emozioni che credevamo seppellite per sempre. Invece il Paradiso Perduto è di nuovo qui per inabissarci nella sua spirale gotica, sorretta dall'immortale chitarra dell'inarrivabile Gregor Macintosh (ma quanti gruppi hanno riutilizzato le sue linee?) che si erge assoluta protagonista dell'album, dipingendo quadri d'infinita tristezza emotiva in ogni canzone.
Recuperato lo spirito di quei tempi d'oro, i Paradise Lost lo aggiornano con l'esperienza accumulata in tutti questi anni di alti e bassi, dimostrando per l'ennesima volta che sono e saranno sempre loro la più grande, influente ed importante gothic metal band di tutti i tempi.
Negarlo, anche alla luce di questo ennesimo capolavoro, è la più grande delle ipocrisie.
- MARCO CAVALLINI -