Ai tempi degli esordi venivano definiti prog rock, poi è subentrata la matrice psichedelica e negli ultimi anni hanno abbracciato la potenza del suono metal. Per favore, non cercate ad ogni costo di dare un'etichetta, un limbo sonoro specificato ai Porcupine Tree, ma ascoltate la loro musica e li ringrazierete in eterno per quante emozioni sapranno darvi.
"Fear of a blank planet" è l'ennesimo esempio da parte di Steven Wilson e soci di come saper scrivere musica che arriva e tocca il cuore, una specie di rock liquido dal feeling spaziale e decadente; un album dall'appeal, perché no, commerciale (produzione e suoni sono spaventosamente efficaci), nel quale il quartetto mostra, per l'ennesima volta, di avere qualcosa di magico nel proprio songwriting. La lunga (quasi 18 minuti) "Anesthetize" è ciò che tutti i fan volevano sentire dal gruppo, una suite dal feeling e dal sapore drammatici, dove ogni componente sonora tipica dei nostri si fonde a meraviglia creando un vortice sonoro di notevole intensità. Ma a colpire sono le restanti track. da dove cominciamo?
Dall'iniziale title track, che poggia su un andamento e un groove trascinanti prima di perdersi in emozionanti pause psichedeliche. "My ashes" è una ballata dove a farla da padrone è lo splendido apporto sinfonico/orchestrale. La delicatezza di "Sentimental" sfiora i territori dreampop, con chitarre appena pizzicate (pardon, accarezzate). Si prosegue con la malinconia di "Way out of here", per arrivare ammaliati all'incredibile ipnotismo della conclusiva "Sleep together" (da mozzafiato il refrain e il sottofondo orchestrale).
Un capolavoro d'arte sonora, indicato a chiunque nutre ancora speranze nella musica.
- MARCO CAVALLINI -