Ecco quello che usa definirsi un “disco bomba”.
Tombstone Highway è il gruppo nel quale Herr Morbid (Forgotten Tomb) dà sfogo alla sua passione per le sonorità southern doom rock.
“Ruralizer” è pronto da oltre un anno e se i Tombstone Highway fossero nati in America avrebbero firmato all’istante per la Southern Lord, mentre in Inghilterra se li sarebbe accaparrati senza indugi la Rise Above Records.
Sono italiani e oggi che finalmente l’Agonia Records pubblica “Ruralizer”, Herr Morbid, per come lo conosco e consapevole della creatura che ha creato, non vede l’ora di far mangiare quintali di polvere – per rimanere in ambito southern e affini - a chiunque (ed intendo tutti, ascoltatori, musicisti e labels) guardava con diffidenza ed indifferenza a Tombstone Highway.
Il fatto che Herr Morbid suoni e mastichi suoni estremi da oltre 15 anni è uno di punti di forza del gruppo, capace di dare un’intensità ed una profondità impressionanti dalla prima all’ultima nota dell’album.
L’opener “Old Blood” non suona nelle casse dello stereo ma vi esplode letteralmente; Herr Morbid aggiunge l’indovinato uso del banjo al suo devastante riffing (dal chiaro sapore Zakk Wylde, il cui spirito aleggia sovente nel disco) accompagnato dalla potenza dietro le pelli di Emilio.
La cadenzata e pesantissima “Graveard blues” richiama la lezione degli Sleep dell’eterno “Holy mountain”, ma è tutto il disco a suonare come dinamite.
Ne sono palese testimonianza le granitiche “Bite the dust (and bleed)”, la title track e la conclusiva “Hangman’s friend” che avanzano non lasciando sopravvissuti sul campo.
Eccezionale la lunga “At the bitter end” (il perfetto incrocio fra la lentezza doom e l’umore southern), che nella seconda parte assume un delicato pathos malinconico al quale nel finale si aggiunge il magico apporto all’hammond del maestro Paolo “Apollo” Negri (Wicked Minds).
Mai un paesaggio rurale aveva avuto un effetto così devastante prima d’ora.
- MARCO CAVALLINI -